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Anno edizione: 2014
Anno edizione: 2015
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Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Il musicista Francesco Guccini è anche uno scrittore, dalla penna ironica e dalla capacità di ricostruire atmosfere che hanno caratterizzato la provincia italiana, in particolare la sua terra d’origine, con intelligente e raffinata analisi, sociologica e linguistica. Il Nuovo dizionario delle cose perdute sembra proprio uno strumento per non far dimenticare le tante cose perdute che la società globalizzata, internazionalizzata, resa troppo spesso priva di memoria dal consumismo che impone ritmi incalzanti. Questo libro è un excursus intelligente e profondo su come eravamo, su come siamo diventati. Grande Francesco Guccini, la sua ricostruzione storica attraverso oggetti, abitudini, personaggi, modi di dire e di pensare, ci consegna un’Italia arcaica dalla quale siamo faticosamente usciti, ma attraverso la memoria di come eravamo ci mette in guardia dagli eccessi, dalle esagerazioni, dai falsi miti di cui siamo troppo spesso imbevuti.
Operazione un po' commerciale ma al "vecchio" Francesco si perdona tutto. Alcune pagine sono da commovente e piacevole nostalgia (oh la carta carbone, le drogherie, il traforo e i maliziosi calendarietti dei barbieri). Però forse il primo dei volumetti dedicati alle cose perdute era meglio. E' stata comunque l'occasione per provare a chiedere al mio barbiere, di poco più giovane di Guccini, se aveva ancora qualche calendarietto e, sorpresa delle sorprese, me ne ha tirato fuori dal fondo di un cassetto almeno una ventina ! Un tuffo al cuore: erano almeno 40 anni che non ne vedevo più !
Dopo Il Dizionario delle cose perdute, non poteva mancare il seguito. E anche qui Francesco Guccini centra l'obbiettivo: riportare alla luce quel periodo successivo all'ultima guerra quando "eravamo povera gente". Nonostante dieci anni di meno di Guccini, nonostante la mia gioventù l'ho vissuta a Verona dove sono nato, ci sono delle assonanze bellissime fra le nostre due esperienze. Leggendo il libro e chiudendo gli occhi mi sono ritrovato bambino a giocare in strada con gli amici, a scrivere le letterine a Babbo Natale, a lavorare al traforo, a collezionare figurine con la colla fatta in casa. Bravissimo Francesco e dannata nostalgia.
Recensioni
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Nel 2012 ci aveva già deliziato con la sua personale galleria di ricordi del tempo che fu, ora a distanza di due anni dal suo primo Dizionario, Guccini torna a scrivere degli oggetti e delle cose che hanno rappresentato generazioni di italiani.
Con lo stesso tocco elegante e poetico che contraddistingue la prima raccolta, l’amato cantautore italiano scava di nuovo nel baule della memoria e ci consegna altre situazioni e ricordi generazionali ormai sepolti.
Tutto nel Nuovo dizionario delle cose perdute profuma di passato, a partire dall’immagine che trionfa sulla copertina: il disco forato di un telefono. Questo apparecchio, vecchia presenza nella casa degli italiani, figura come simbolo di un tempo ormai andato e sempre più lontano. Il telefono così come l’autoradio estraibile e la carta carbone, i deflettori e le drogherie sono le metafore scelte dallo scrittore per rappresentare una quotidianità fatta di cose piccole e semplici, che ormai non sembra più appartenere al nostro presente.
Per rendere più agile la consultazione del Dizionario, Guccini divide il libro in piccoli capitoli, ognuno dedicato ad un pezzo della nostra memoria collettiva: dai vespasiani presenti sullo spartitraffico dei viali e destinati ai bisogni “impellenti”, ai vecchi cari rimedi casalinghi contro l’orzaiolo o il fuoco di S. Antonio, e ancora, le famose cabine telefoniche che funzionavano con i gettoni in lega metallica e la cui fine è stata decretata dall’avvento dei telefonini. Sono tutte cose di cui abbiamo, per fortuna, ancora memoria ma delle quali non ci serviamo più.
L’elenco è lungo e ogni oggetto descritto ci mostra un mondo lontanissimo dal nostro presente; oggetti che sono lo specchio di una realtà cambiata alla velocità della luce, dove anche il più semplice gesto è diventato digitale: a quanti di voi capita di andare in vacanza e spedire ancora delle cartoline? Naturalmente a pochissimi perché ora con i tablet è possibile, in qualsiasi momento, inviare foto e commenti direttamente dai luoghi esotici in cui ci troviamo.
Questa piacevole riflessione sul passato, che si legge come un romanzo, non si presenta come una ballata nostalgica o un’invettiva contro la nuova socialità e le drastiche trasformazioni generazionali, bensì il tentativo, da parte dell’autore, di aprire una finestra sui ricordi e le situazioni che hanno accompagnato un pezzo della sua vita per rivivere con commozione, ma senza amarezza, un tempo che è stato e che non tornerà più.
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