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Siamo nel 631 d.C.: due veterani delle guerre persiane di Eraclio, imperatore dei Romani (nome con cui a quei tempi venivano designati i Bizantini), sono catapultati da Costantinopoli in Italia sulle tracce dell’eretico Ibas, per sventarne le trame a favore dei Longobardi. Nella Penisola essi si dovranno misurare con situazioni inaspettate, che metteranno a dura prova le loro certezze: il più giovane, il latino Marcello, proverà un contrastato amore per l’avvenente barbara Iselberga, ed il più anziano, il goto Uviliaris, si dovrà confrontare con l’eredità del proprio passato; entrambi sostenuti e guidati da un’ignota presenza, da un personaggio nell’ombra che li accomuna, all’insaputa l’uno dell’altro, fin dagli inizi della loro esistenza e che solo alla fine del racconto svelerà appieno il proprio essere. L’estasi di Iselberga davanti ai mosaici di San Vitale a Ravenna, l’affannosa caccia al tesoro di re Teodorico, le animate assemblee dei Longobardi a Verona, l’accorta strategia dell’Esarca bizantino Isacio, la mercanteggiata costruzione della “Santa Gerusalemme” in Bologna sono fra i tanti elementi dell’opera dove fantasia ed accurata ricostruzione storica si amalgamano efficacemente. La lettura del romanzo suscita curiosità ed attenzione e l’esposizione risulta gradevole, seppur con qualche concessione al compiacimento erudito che l’Autore avrebbe potuto limare; la trama, solidamente impostata, è ricca di colpi di scena, via via in crescendo sino al risolutivo; ed i personaggi palpitano di vita propria e non libresca. In particolare la protagonista, Iselberga, appare tanto incantevole e spontanea da far dimenticare che, forse, Mendogni le ha attribuito un’intraprendenza eccessiva per le donne di quei tempi. In conclusione, “Oi Romanoi” è un testo suggestivo e raffinato, da soppesare con interesse, che propone una visione non convenzionale di una società variegata e cosmopolita, spesso etichettata come ignorante e violenta nella sua componente longobarda, e corrotta ed ipocrita in quella bizantina.
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