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Anno edizione: 2019
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Un libro che restituisce leggibilità e piacere a un'opera cosí varia, affascinante e ricca di dirompente vitalità come il Decameron.
«Nell'avvicinare un classico della letteratura italiana mi propongo, e vi propongo, da un lato uno sforzo per restare continuamente conformi alla lettera del testo e dall'altro di praticare, nel corso della lettura, l'esercizio di una ragionevole e controllata eterodossia... Quello che mi auguro, in ogni caso, è che al termine delle nostre ricognizioni vi sarete familiarizzati con la voce di Boccaccio e avrete imparato a riconoscerne il timbro, le sfumature, la "grana" piú sottile, perché allora sarete in grado di procedere da soli e di leggere e rileggere (senza la stampella di traduzioni o riscritture) un'opera, nata sul crinale tra il medioevo e il Rinascimento, che a distanza di tanto tempo continua a trasmettere ai suoi lettori un senso di vitalità debordante ed euforica»
Il Decameron – secondo Michail Bachtin – è il primo tra «i grandi capolavori della letteratura» in cui si afferma «il riso, nella sua forma piú radicale e universale», che ingloba «il mondo intero» e che si stacca dalle «lingue popolari per fare irruzione nella letteratura e nell'ideologia di rango elevato». Questo libro costituisce il tentativo, a distanza di secoli, di ascoltare quel «riso» a volte soffocato, a volte soltanto oscurato da successive forme di censura e dall'accumulo della letteratura secondaria. A un simile scopo si è resa necessaria l'adozione di alcuni principî: non staccarsi mai dalle parole del testo; utilizzare una scatola di arnesi volutamente leggera; esplicitare in ogni occasione la parzialità dell'angolo di lettura prescelto; attenersi, infine, a un suggerimento di Nietzsche e leggere lentamente, senza mai esitare di fronte alla necessità di tornare sui propri passi. Preceduto da vari corsi universitari, il libro ne ha conservato deliberatamente traccia. Con un'implicita e qui reiterata scommessa: restituire leggibilità e piacere a un'opera cosí varia, affascinante e ricca di dirompente vitalità come il Decameron .Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Giuseppe è stato bravissimo nel recensire questo libro che mira a restituirci la voce di Boccaccio senza edulcorazioni mistificanti. Grazie a Lavagetto, uno degli ultimi grandissimi critici di un'epoca che non c'è più. Anche lui ci ha lasciato e siamo tutti un po' più soli.
Intorno al settimo centenario della nascita di Boccaccio, nel 2013, i bilanci di filologi e critici erano soddisfatti: le nuove ricerche permettevano una lettura su base più certa di molte opere e si gettava ormai una luce nuova su molti aspetti dell’opera del certaldese, in particolare del capolavoro, di cui si poteva ormai apprezzare il dettato. E usciva direttamente in edizione economica un eccellente commento, coordinato da Alfano e Fiorilla. Ma il tentativo di leggere il Decameron in modi davvero rinnovati urtava contro una sostanziale subalternità nei confronti dell’operazione culturale attuata da Branca negli anni ’50-’60, all’insegna del “Boccaccio medievale”: nulla da ridire sull’etichetta, se non fosse che Branca se ne serviva per delineare nel Decameron una struttura ascendente, analoga a quella della Commedia, che culminava nella novella di Griselda come Dante chiudeva con la Madonna. Così un libro scandaloso veniva addomesticato, con l’ausilio di un’abile rete di reticenze e censure. Ora la lettura eterodossa di Lavagetto muove dal fatto che quel libro dopo settecento anni “continua a trasmettere ai suoi lettori un senso di vitalità debordante ed euforica” e cerca di rileggere nel testo i segni e le tracce di un riso radicale ed eversivo. La lettura lenta, meditata, esercitata sull’analisi di Freud, permette a Lavagetto di rendere conto, e di chiedere al lettore di rendere anche lui conto, solo a quanto è scritto nel “Decameron”; e allora, altro che percorso a Griselda, un personaggio che comunque esce trasformato da questo libro, su basi filologiche ed ermeneutiche più salde. Il libro, “cognominato Galeotto” perché volto a fornire alle sue lettrici utili consigli per dare ascolto al proprio corpo, ricomincia a farsi sentire in alcuni suoi nodi rimossi, e il medioevo di Boccaccio si rivela pervaso di “alte risa plebee di questo perpetuo carnevale”, come scriveva un De Sanctis precorritore di Bachtin.
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