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Anno edizione: 2001
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Siamo semplicemente di fronte ad uno dei più grandi romanzi di tutto il Novecento, la summa poetica di un continente, di un'isola, di un grande artista, come pochi in grado di universalizzare il proprio canto e di renderlo visione poetica del mondo. E di questo infatti si tratta una visione poetica/poietica del mondo che si erge a culto a vera e propria religione cosmica. In Lezama Lima l'immagine, non il tempo come accadeva in Proust, diviene elemento imprescindibile che rompe il filo svilente del quotidiano e lo trasforma in elevazione sublime della realtà, in una prefigurazione allucinata e lucida del magico che si nasconde dietro le cose. Si temga a mente che lo scrittore cubano rimane innanzitutto un poeta, un grandissimo poeta direi. Il suo barocco non si ravvisa nell'eccessiva "verbosità" delle sue descrizioni, di questo genere di scempiaggine ne vediamo a profusione nella letteratura contemporanea, quanto nella capacità, che rivela una profonda conoscenza di Gongora e della letteratura del Siglo de Oro, di svelare attraverso l'arte, il difficile e contraddittorio rapporto tra corpo e anima, tra anelito spirituale ed esaltazione della carne. Con le sue sinuosità e le sue asperità il barocco di Lima è in grado di evocare un desiderio irrefrenabile verso la trascendenza che fu già del gotico. IL barocco in Lima è la possibilità di rievocare l'irripetibilità di qualla stagione attraverso lo sguardo lucido e catalogatore che il Rinascimento e l'illuminismo ci hanno dato come marchio di fabbrica. Ma questo potere razionale si sbriciola lentamente in lui come se perseguitato( en acecho)da una realtà parallela ed inafferrabile. Si rammenti che la condizione asmatica di Cemì, che fu anche dell'autore, scandisce in modo sincopato l'incedere della narrazione, come a sottolienare che ci troviamo ad un punto di vista che anche la natura ha reso interstiziale, liminare. L'incanto del mondo trova in Lezama Lima un cantore appassionatoe mai pago. La sfida aperta a tutti noi è quella di vedere la vita come faceva lui.
Mi allineo, senza vergogna, ai detrattori. Non mi riesce di considerare lo sproloquio come marker di grande letteratura. Non disdegno , anzi prediligo, i testi ponderosi, quelli che tengono compagnia per settimane ma ammiro l'arte di racontare molto con poche frasi, di dipingere atmosfere con pochi tratti incisivi, non viceversa. Paradiso è pesante perchè pedante più che barocco. Confesso di non essere riuscito neanch'io, in realtà, a superare pagina 220 (al quarto assalto peraltro). Oltre non mi è riuscito d'andare: la mente fuggiva dalla pagina e cercava altrove ristoro, esausta e vinta. Ma forse io non faccio testo: non digerisco nemmeno Proust.
D'accordo con Paolo! Paradiso è un'attentato a tutto ciò che abbiamo già letto. E ben venga. Non è vero, come ho letto, che è osannato dalla critica di mezzo mondo. Tra i pochi che ne parlano pochissimi l'hanno veramente letto. Paradiso è solo grande letteratura, è teatro, è pittura e scultura, è miniatura e oreficeria, è poesia. Inutile negarlo, il testo è difficile. Dopo aver letto i primi tre capitoli sono stato costretto a ricominciare dall'inizio, ma sapevo che valeva la pena accettare la sfida lanciata da Lezama. In alcuni casi, rileggendo con attenzione si riesce ad orientarsi in quel labirinto barocco, ma in molti altri bisogna arrendersi e farsi trasportare dal fiume, solo per il gusto di sentirsi scivolare addosso le parole, gli odori, i suoni. Non si scoraggi il lettore, giunga fino al termine anche se molto non è chiaro. Una volta giunti alla fine si faccia trascorrere un po' di tempo, quanto basta per accettare che la grande letteratura è anche dall'altra parte, non solo nella vecchia Europa, e poi lo si rilegga, perché è un testo che non può essere liquidato alla prima.
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