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Michel Houllebecq ci porta in un universo parallelo, dove imperano la masturbazione e il libertinaggio più spinto. “Si vide gradualmente accendersi un interesse sempre più vivo per l’astrologia, i tarocchi egizi, la meditazione sui chakra, le energie sottili.” “Aveva sonno; la luna scivolava sopra la città addormentata. Sarebbe bastata una parola, lo sapeva, e Bruno si sarebbe alzato, si sarebbe infilato il giubbotto e sarebbe scomparso dentro l’ascensore; a La Motte-Picquet c’era sempre qualche taxi in attesa di clienti”. E scende nel macabro: “Dopo l’operazione, il feto veniva macinato e mischiato a pasta di pane, infornato e mangiato da tutti i partecipanti, strappato organi e viscere, avevano tuffato le mani nella carne e nel sangue, portando sino al limite estremo la sofferenza di bestie innocue”.
Ho comprato questo libro travolta dall'onda di entusiasmo dei lettori, ma ahimè sono rimasta alquanto delusa tanto da abbandonarlo ad 1/3. Continuava a sfuggimi il senso della narrazione e non ero affatto presa dallo stile di scrittura, peccato perchè ero molto curiosa sia del libro in questione che dell'autore (di cui avevo già letto "Sottomissione"). Probabilmente non ero nel mood giusto, lascerò passare del tempo e forse gli darò una seconda chance.
Quante volte abbiamo sentito dire "sì ma il libro è meglio!". Bene, anche in questo caso, nonostante la trasposizione cinematografica di questo libro di Houellebecq sia ottima, il libro è un capolavoro.
Recensioni
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Michel Houllebecq è un high level. O un next level, fate vobis. Nel senso che le sue letture spaziano dalla narrativa tout-court, alla sociologia, passando per la filosofia. Con complicati innesti scientifici come nel caso de Le particelle elementari (337 pagine, 13 euro), edito da Bompiani, nella traduzione di Sergio Claudio Perroni. Il retrogusto di fondo di questo libro è triste, crepuscolare. La morte, con il suo inspiegabile senso, incombe come presenza mefistotelica alla quale non ci si riesce ad abituare. Contro di lei si infrangono inutilmente i flutti dell’amore. Quell’amore sofferente, struggente, invivibile che intarsia le vite di due fratellastri, Bruno e Michel.
Il primo è un professore ossessionato dal sesso al punto tale da spingersi in situazioni erotiche border-line dove conoscerà Christiane, destinata a diventare la sua tragica compagna di vita. Il secondo è invece un luminare della scienza, un biologo molecolare immerso fino al collo nella ricerca spasmodica di un modo per superare i limiti biologici e fisici dell’uomo attraverso uno studio che lo porterà a rivoluzionare l’intera storia dell’umanità. Accanto a lui Annabelle, l’avvenente fidanzata che ritroverà dopo venticinque anni di lontananza e che segnerà per sempre la sua vita, influenzando nei fatti anche il suo tracciato scientifico.
Un libro triste, dicevamo, un libro in cui si legge che «alla resa dei conti rimangono sempre e soltanto solitudine, freddo e silenzio. Alla resa dei conti non c’è altro che la morte». Di questo sembrano essere più che consapevoli i due protagonisti che proprio attraverso l’amore proveranno a tematizzare, senza però riuscirvi, questa maledetta condanna. La nascita di una nuova generazione di uomini, in un futuro pressoché vicino, non più sottoposti ai vincoli della deprivazione fisica, è il riscatto a questa miseria incomprensibile della morte che Houllebecq prospetta nella sua opera.
Il domani distopico, sembra dirci, appartiene a esseri pressochè perfetti, assurti finalmente al rango di dei. In questa prospettiva inquietante, in cui i dolori, gli egoismi, le sofferenze sono stati finalmente sconfitti, l’uomo riesce nel titanico tentativo di superare se stesso, lasciando a un passato lontano il carico di quei problemi contro cui ciascuno di noi ha cercato vanamente di combattere e, nel farlo, ha dimostrato la propria profonda, imprescindibile e inattuabile umanità.
Recensione di Alessandro Orofino
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