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Un'antologia felicemente sbilanciata, sfrontatamente parziale nelle proposte, anticonvenzionale nei commenti, questa firmata da Filippo La Porta, con una scelta programmatica esplicitata già dal titolo: offrire a chi legge un arricchimento culturale ed emotivo sulla base della sua esperienza di lettore innamorato della poesia, che ha eletto i suoi maestri di vita e di pensiero tra chi ha scritto in versi. I poeti rappresentati appartengono tutti alla storia, essendo morti chi da secoli e chi da anni: poeti ormai considerati "classici", avvolti da un'aura di condivisa ammirazione. Ci si potrebbe interrogare sul motivo di alcune originali inclusioni, o su ancora più clamorose esclusioni. Ma La Porta ha inteso proporre i "suoi" poeti, da Dante alla Szymborska, quelli che ha amato e che gli hanno offerto più stimoli intellettuali e "sentimentali", e lo ha fatto partendo proprio da se stesso, dai suoi ricordi studenteschi, dalle musiche ascoltate e dai film visti, dalle esperienze di lotta politica e dai primi timidi tentativi di composizione poetica personale. Ciò in cui più si manifesta il suo appassionato fervore critico è nella ribadita ricerca di una definizione estetica ed etica della scrittura in versi: "la poesia come spazio utopico, 'antiutilitaristico', è la posizione più 'sovversiva' oggi immaginabile"; "non consiste in un linguaggio speciale, anticomunicativo, costitutivamente diverso da quello quotidiano, o in un gergo oscuro, autosufficiente, aggressivamente incomprensibile"; il suo ruolo è "mescolarsi al proprio tempo, alla contemporaneità, pensare... alla storia, incontrare le persone comuni". Celebra così la vitalità della poesia che "scompiglia la nostra idea convenzionale delle cose, che dissolve le divisioni artificiose, che disinnesca strategie e calcoli del potere, e che ci mette in sintonia con un ritmo più ampio, e imperscrutabile, del cosmo".
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