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Anno edizione: 2006
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In questo volume del 1957, Bachelard ribadisce ostinatamente la sua convinzione riguardo alla folgorazione che un’immagine poetica, quando sia veramente tale, produce nel lettore, provocando in lui un “retentissement” e colpendo il suo inconscio con una “sonorità di essenza”. Rifiutando sia ogni semplificatrice motivazione psicanalitica, che tende a spiegare la poesia servendosi dell’analisi di ipotetici traumi biografici dell’autore («lo psicanalista pretende di spiegare il fiore attraverso il concime…»), sia le letture destrutturanti di certa linguistica, Bachelard propone una sua interpretazione fenomenologica dell’immaginazione poetica, che «emerge alla coscienza come prodotto diretto del cuore, dell’anima, dell’essere dell’uomo colto nella sua attualità». L’immagine sorge prima del pensiero, direttamente da un’emozione del poeta, e «nella sua semplicità non ha bisogno di un sapere: essa è la ricchezza di una coscienza ingenua, nella sua espressione è linguaggio giovane. Il poeta rievoca, scrivendo, «gli spazi di possesso, difesi contro forze avverse». Ritornano, nelle sue rêveries le immagini della casa, che diventano la topografia del suo intimo. Tutti gli esseri umani, ricordando gli ambienti in cui hanno vissuto, tornano a dimorare in se stessi, rannicchiandosi in un rifugio protettivo che hanno amato («la casa è il nostro primo universo»), o temuto, ma che comunque li ha nutriti. Dagli ambienti della casa, il filosofo passa poi ad analizzare «la casa delle cose», cassetti, cassapanche, armadi: una sorta di «estetica del nascosto», in cui si racchiudono i propri segreti, in una dialettica del dentro e del fuori, dell’aperto e del chiuso. Che poi si collega al passaggio successivo, allo spazio dell’eterno e dell’immensità, anch’essi fucine di turbinose visioni artistiche. L’invito di Bachelard è allora a non avere paura del ricordo, dell’immaginazione e della poesia: «Ah! Quanto avrebbero da imparare i filosofi se si risolvessero a leggere i poeti!».
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