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Bello, bello, bello. Smentisce in modo documentato il mito italiani brava gente. Pieno di storie di grandi personaggi
Libro tra saggio e romanzo che ha il merito di riproporre la figura di Felice Benuzzi (e di far conoscere cosa fece prima e dopo la guerra), dei suoi due soci e dell'impresa sul Monte Kenya. Un libro che non può mancare nella biblioteca di chi ama la montagna e la storia. Alcuni appunti, però. Le organizzazioni cattoliche non erano tanto favorevoli al Plebiscito fascista, non fosse altro perché nel 1928 erano state sciolte (ad esempio gli scout. Si salvò solo l'Azione Cattolica in virtù del Concordato). Le parti seconda e terza del libro (Vienna, Trieste, la guerra, l'Africa e l'impero) sono fin troppo lunghe. Gli autori si giustificano dicendo di aver voluto dare una panoramica per far capire il clima in cui Benuzzi visse. Ma allora perché liquidare in poche righe l'esodo dei fiumani ed istriani (la vergognosa accoglienza che ebbero a bologna non può essere sconosciuta agli autori) e il dramma delle foibe? Non è necessario citare l'onorevole Gasparri: ci sono storici seri come Pupo o Petacco che ne hanno trattato. E neppure un accenno al Corpo italiano di liberazione (e sì, anche le forze armate regolari fecero una guerra contro i tedeschi). Insomma: sembra quasi che parlare della vita di Benuzzi sia una scusa, per gli autori, per sfogarsi con le loro interpretazioni storiche e qualche battutina qua e là. Infine, la copertina: le figure di Fred Astaire e Ginger Rogers sono secondo me fuorvianti rispetto al contenuto del libro e rischiano di allontanare potenziali lettori. Detto tutto questo, resta un libro da leggere, tenendo conto della parzialità degli autori.
Non si pensi di leggere semplicemente un romanzo quando si legge Wu Ming: la maggior parte dei volumi pubblicati dal collettivo, in tutte le sue varianti e collaborazioni, eccede rispetto alla struttura tradizionale del romanzo e si fonde con una serie differenziata di generi e giochi letterari che non hanno simili nella storia della scrittura italiana. Tuttavia Point Lenana, per vocazione, è ciò che più sia avvicina ad un romanzo di formazione: il racconto di un'esperienza edificante - per i due autori - sulle orme del racconto di un'esperienza di liberazione - del protagonista; un romanzo nel romanzo. Ma non solo, c'è anche la disamina accurata di un secolo di vicende coloniali italiane, fitta di prospettive partigiane sulle responsabilità e sulla costruzione di un fascismo troppo spesso passato come ingenuamente paternalistico, di cui si è preferito occultare l'aspetto liberticida e crudele, foriero di un razzismo ancora oggi strisciante, anche se mai dichiarato. E poi l'irredentismo, i territori contesi di Trento e Trieste, spine nel fianco della storia patria, confini labili e inesplorati dove germogliano floridi ibridismi culturali, pericolosi per la monolitica identità fascista. È partigiana la scrittura di Wu Ming, si affermava poco fa, ma cosa dire della letteratura di Carducci, Pascoli e D'annunzio, con cui ancora tediamo gli italici studenti, quando celebrano la guerra, l'irredentismo e il colonialismo? Ad ogni modo, non sfugga che la costante del testo, di cui il titolo è espressione fin troppo chiara, è la celebrazione della montagna, l'ebbrezza della conquista della vetta, l'emozione che solo la prospettiva del mondo guardato da una cima può dare. Alla fine non resta che prendere sacca e scarponi e fare i conti col la propria storia, una storia che parte dalla propria geografia.
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