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Se vi piace il thriller psicologico, vi prego di leggere Patrick Mcgrath perché ne rimarrete estremamente affascinati: ho conosciuto questo autore solamente l’anno scorso, con ‘Follia’ e fin dalle prime pagine ho capito che lo avrei amato da morire. È stata la stessa cosa anche con Port Mungo, dove ho ritrovato lo stesso stile di cui mi ero innamorata nel precedente stile. Nei suoi libri troviamo uno stile crudo, argomenti violenti, temi particolarmente delicati, e direi quasi / malati / a volte, ma le sue trame mi affascinano molto per questo motivo. La storia di Port Mungo, che narra le vicende di una storia d’amore straziante fra due artisti, inizia quasi normalmente per poi degenerare letteralmente alla fine, dove tutto viene a galla e ne rimani sconvolto; anche in Follia era successa la stessa cosa, e vi giuro che capite tutto il ragionamento che sta sotto alla trama solamente una volta arrivati praticamente alla fine del libro, cosa che io amo molto. Non so perché, mi piace questa sensazione che mi crea il plot twist a tre pagine dalla fine! Mi fa rimanere di stucco ma piacevolmente sorpresa! L’unica cosa che posso ‘criticare’ di Mcgrath, ma anche questo va molto a gusto personale, è l’organizzazione temporale delle sue vicende: è un continuo di flashback, di flashback dentro al flashback, di ritorno al presente, ma non troppo presente, ma solo un presente prossimo, e cose così. A volte si rimane un po’ confusi e si capisce in quale parte temporale si è solo dopo aver letto una decina di righe. È una sciocchezza, ovviamente, ma ho ritrovato questa cosa in entrambi i libri! In libreria ne ho altri due, di McGrath, che spero di poter leggere presto così da farmi un’idea ancora più ampia dello scrittore!
Jack Rathbone, pittore dall’animo tormentato e inquieto, per sfuggire ad una crisi creativa decide di trasferirsi a Port Mungo, un’anonima località caraibica, insieme a Vera Savage, conosciuta a Londra quando lui aveva soli 17 anni e lei 30. Il soggiorno fra i colori e i paesaggi della cittadina caraibica è preceduto da una parentesi newyorkese che si rivela per i due poco produttiva dal punto di vista artistico: Vera, poco avvezza alla vita monotona e abitudinaria, e già in lotta con l’alcol, è sempre in giro per locali, Jack non riesce a realizzarsi dal punto di vista artistico, non dipinge più. A Port Mungo, “una città sul fiume che un tempo era stata prospera, ma che adesso era finita, appassita e fumante, fra le paludi di mangrovie del golfo dell’Honduras”, dove i due decidono di trasferirsi dopo aver girovagato e soggiornato in sudice stanze fra Miami e L’Avana, si compie la tragedia più amara della loro esistenza: Peg, la figlia sedicenne dei due, allevata solo da un padre sempre più in lotta con se stesso e dimentico di lei, viene rinvenuta priva di vita in uno specchio d’acqua affollato di mangrovie, grigio e sinistro. La sorella di Peg, Anna, altra creatura venuta al mondo da questo amore malato, viene portata via da quell’inferno, sottratta a genitori inconsapevoli e ottenebrati dalle loro rispettive psicopatie, da Gerald, fratello di Jack. In un caleidoscopio di andate e ritorni, di ricongiungimenti e rigurgiti tardivi di coscienza, si compone il quadro a tinte fosche di relazioni fra personalità disturbate, di aneliti narcisistici, di complessi tristemente irrisolti.Le pagine del romanzo di McGrath scorrono con un ritmo dal quale risulta difficile staccarsi: la voce narrante è quella di Gin, la sorella di Jack, sottomessa al fratello, gelosa e accondiscendente. Nel dipanarsi degli eventi il lettore si chiederà se lei non nutra nei riguardi del fratello un sentimento incestuoso. Il torbido dappertutto è la nota predominante del romanzo.Consigliato.
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