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Un giovane prussiano fin de race, ancora mosso da qualche residuo impulso aristocratico-militare, cresce nell’esercito della Polonia comunista. E un giorno passa all’Occidente. Non si aspetta né «più libertà», né un mondo a lui affine. Sa di essere solo: è un «anarca», uno spirito stirneriano mimetizzato nel regno della macchina. E proprio qui trova l’impresa adatta a lui: una multinazionale delle pompe funebri, che gestisce la morte come un problema industriale su vasta scala. Con freddezza e praticità, si dedica al progetto di uno sterminato cimitero centrale del pianeta, da situare in Turchia. Là, in cunicoli senza fine, nascerà un immane club dei morti, che affluiscono a migliaia da ogni paese. Talvolta sono intere sette che si prenotano, nella speranza di una quiete indisturbabile accanto al loro guru.
Nella sua creativa vecchiaia, Jünger è rimasto non meno temibile e provocatorio di quando, adolescente, fuggì di casa per arruolarsi nella Legione Straniera. Questo suo recente romanzo (1982) è un apologo beffardo e penetrante su un mondo, il nostro, che non sa bene cosa fare della morte. E tanto basta a svelare la sua inconsistenza. Come sempre, con demonica percettività, Jünger non si oppone frontalmente a ciò che lo circonda ma vuole spingerlo all’estremo. La sua formula è quella di svellere le basi del mondo nichilista con una carica di nichilismo ancora maggiore. Non è forse il mondo segretamente ossessionato dall’immagine di scavatrici che sventrano le tombe? Non è forse vero che «il terreno si muove verso la capitale» e nessun luogo di riposo è garantito per sempre? A questo risponde il sogno di «Terrestra», la multinazionale delle pompe funebri di cui qui si racconta la lugubre ed esilarante avventura.
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Recensioni
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(scheda pubblicata per l'edizione del 1985)
scheda di Bardi, M., L'Indice 1986, n. 1
Un romanzo scritto in prima persona, in cui il protagonista, discendente da un'antica famiglia aristocratica militare, si propone di raccontare, con occhio da scienziato, la propria storia: al servizio dell'esercito popolare polacco, come durante il successivo adattamento al mondo occidentale, è evidente il suo sforzo di tener desta la coscienza della propria individualità e d'interpretare ogni evento alla luce di un pessimismo lucido e insieme provocatorio. Per sua esplicita dichiarazione, egli soffre di "un'esagerata obiettività" che lo conduce a una visione disincantata della storia, della vita sociale e dei rapporti interpersonali propria dello "sguardo stereoscopico" e del "realismo eroico" j(ngeriano. Alla ricostruzione del passato concorrono i ricordi familiari, non meno che le influenze letterarie e filosofiche (Schopenhauer e Nietzsche, soprannominato affettuosamente "Testa Matta"), cosicché l'intero racconto finisce per costituire una distaccata critica della modernità e della spersonalizzazione che dell'aristocraticismo prussiano dell'autore reca, per intero, le tracce. Nella realizzazione di un enorme cimitero nel cuore dell'Anatolia s'intreccia ai motivi economici l'oscura ansia dell'umanità di sottrarre almeno l'evento della morte alla logica del consumismo, che rimuove ciò che si oppone al suo ritmo progressivo. Sulla fredda praticità sembra alla fine avere la meglio l'oscuro fondo visionario dell'autore: sogno e follia annunciano infatti un incontro straordinario. Cosi resta aperto "il problema di Aladino"- che è il problema del conseguimento del potere e della faticosa ricerca di un'identità - perché' come dice l'autore, "un resoconto che si definisce problema non deve offrire soluzioni".
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