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"Chi dètta i termini della battaglia detterà i termini della pace", "un uomo distratto è un uomo sconfitto", "non esiste una situazione senza via d'uscita", "domina la tua paura e dominerai il tuo avversario", "insegno a prevalere, non a combattere": false perle di saggezza che Mamet dissemina lungo l'intero arco del film per esporre un castello di parole schiantato dai fatti. In "Redbelt" si perde o si vince senza corsi mantrici su autostima, autocontrollo e autodifesa, bensì solo superando un handicap che è di tipo relazionale. Il profluvio di tronfie frasi d'esistenzialismo filosofico possono depistare il pubblico dal di gran lunga più assiduo principio etico ribadito dal primo all'ultimo fotogramma: l'amore come risonanza superadditiva. Non è in virtù dei propri insegnamenti di vita che Mike Terry, cintura nera e istruttore nell'arte marziale brasiliana dello ju jitsu, promuove ad altra cintura nera il poliziotto Joe Collins, guarisce l'avvocato Laura Black vittima di stupro, ottiene l'aurea cintura dell'imperatore giapponese e smaschera le magagne dello show-biz. Il poliziotto e l'avvocato accettano fiduciosi l'aiuto di Terry, Terry è alla bancarotta e, tradito dalla moglie Sonia, viene incastrato da un complotto, il poliziotto si suicida quando perde il sostegno e l'appoggio di colleghi e parenti, lo stesso Terry getta la spugna ma poi rilancia, vittorioso in modo nuovo, grazie al sonoro, benefico e innamorato schiaffo di Laura mentre sono ritratti con un campo lungo, silenzioso e crepuscolare. Per finire, lo sguardo dell'anziano Maestro cintura rossa infonde coraggio a Terry quanto lo sguardo del Presidente del Congresso al Mr. Smith frankcapriano. I frequenti colpi di scena risultano imprevedibili e forse pure astrusi finché non s'entra all'interno di questa prospettiva. Sommesso ma potente rovesciamento dell'ideologia statunitense del "selfmade man", del narcisistico e solipsistico delirio d'onnipotenza yankee o meno. Ottimo, il miglior film di Mamet.
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