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Certamente non uno dei migliori della serie. La trama è debole si salva soltanto con la bravura del autore.
Non c'è niente da fare, questi libri li divoro come la granita sulla spiaggia assolata. Un po' agrodolce, ma comunque avvincente.
Mi è piaciuto molto per come viene descritta qui la figura di Maione, che acquisisce spessore. Peccato che il romanzo sembra che sia scritto come preambolo del successivo. Quindi va letto in tandem con il seguente, anche se questo è un po' il motivo dominante della saga.
Recensioni
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Le stagioni del Commissario Ricciardi sono passate: l’inverno, la primavera, l’estate e l’autunno. Ma anche la serie delle festività, pubblicata qualche anno dopo, è finita. Adesso che siamo al decimo volume con protagonista il commissario triste, come sempre ambientato nella Napoli degli anni Trenta, tra le righe si respira un’aria plumbea e crepuscolare. È il sipario per il Commissario Ricciardi?
Come dice un antico proverbio zen “Solo chi ha il coraggio di scrivere la parola fine, può trovare la forza di scrivere la parola inizio”. I lettori affezionati di Maurizio de Giovanni sperano e credono che l’autore, come il suo personaggio, possa finalmente trovare la forza di dare una bella sferzata a questa storia.
Luigi Alfredo Ricciardi, malinconico, “al riparo di un’impenetrabilità coltivata tutta la vita”, ha un dono, o una maledizione: è ossessionato dalle voci dei fantasmi che hanno avuto una morte violenta, che tornano a tormentarlo sussurrando al suo orecchio il loro ultimo pensiero. Questo suo dono è anche l’ostacolo più grande alla felicità, perché da quando è bambino, da quando è successo “Il fatto”, non è mai riuscito a stare lontano da tutti quei fantasmi. È per proteggere il suo segreto che non ha mai confessato il suo amore a Enrica, la ragazza timida e schiva che vive nel palazzo di fronte al suo e che vede tutti i giorni cucire alla luce della finestra. Con lei in queste ultime stagioni passate, sempre sguardi struggenti, mezze frasi, promesse di attese. Ma mai un impegno. I fantasmi sono sempre stati più forti.
Fino a questo episodio, il decimo. In una Napoli come sempre austera e misteriosa, in una città immobile in attesa di un inverno che non vuole arrivare e che anzi porta con sé un caldo insolito, tra le quinte del teatro Splendor avviene un inaspettato fatto di sangue. La prima attrice della rivista, la giovane cantante e ballerina Fedora Marra, viene uccisa in scena dal marito, l’attempato attore Michelangelo Gelmi che la uccide con un colpo di pistola pensando di sparare a salve. O forse no.
Forse la gelosia nei confronti della giovane moglie lo ha accecato fino a portarlo al gesto estremo. Forse l’invidia per il suo crescente successo. O forse tutto è opera di un amante. Sarà il commissario Ricciardi, insieme al suo fidato brigadiere Maione, a fare luce sulla vicenda, sempre coadiuvato dal medico legale Modo e dalla massa vociante di spettatori, pettegoli, delatori, bugiardi.
Tra Natale e Capodanno, nell’attesa dello scoppio di risa del nuovo anno, cade una fitta nebbia su Napoli, che rallenta la lettura e richiede impegno. Scivolano sulle spesse coltri adagiate sulla città le note dei violini, i ricami dei cantanti che accompagnano Ricciardi nei suoi ragionamenti oscuri. La canzone antica, quasi dimenticata, che Maurizio de Giovanni rispolvera per l’occasione è Rundinella, scritta da Galdieri e Spagnolo nel 1918. Colui che canta è un uomo triste, disperato, perché la sua amata non torna a casa da tre giorni. Nessuno sa che lei gli ha detto addio e lui si porta un dolore solitario nel cuore. Non vuole, non può ammettere che sia finita. Non vuole chiudere il sipario su questa storia.
Recensione di Annalisa Veraldi
RUNDINELLA
(Galdieri, Spagnolo – 1918)
Tutte ll'amice mieje sanno ca tuorne,
ca si' partuta e no ca mm'hê lassato.
Só' già tre ghiuorne.
Nisciuno 'nfin'a mo s'è 'mmagginato
ca tu, crisciuta 'ncopp' 'o core mio,
mm'hê ditto addio.
E torna rundinella,
torna a stu nido mo ch'è primmavera.
I' lasso 'a porta aperta quanno è 'a sera
speranno 'e te truvà
vicino a me.
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