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E' un libro bellissimo del compianto e bravissimo Philippe Daverio. Una guida perfetta per chi ama la storia dell'arte. Imperdibile!
Peccato che non verranno più scritti libri come questo: Daverio è unico nel suo stile e purtroppo non ce ne saranno altri. Puoi però goderti questo libro che è una vera chicca dell'arte.
Ci sono libri che restano nel cuore anche quando l’autore non c’è più. E questo è ancora nel mio cuore. L’arte come la sapeva raccontare Daverio era qualcosa di affascinante. Io l’amo da quando ho letto il primo libro di questo grande autore. In questo testo ho apprezzato la parte dedicata a Delacroix e Géròme così come quella su Gauguin e Van Gogh.
Recensioni
Le nuove esigenze di una capitale europea richiedono il ripensamento delle linee urbane, così la vecchia stazione ferroviaria della città deve necessariamente dimettere la sua funzione e cedere il passo alla tecnologia. Tuttavia, i cittadini, affezionati all’edificio, ne chiedono una nuova destinazione. L’idea vincente è quella di farne un museo, ma che tipo di museo? Le proposte avanzate dalle diverse parti sono tante: la destra storica vorrebbe farne una collezione di armature, la sinistra un museo sulla didattica, mentre i consiglieri di centro propongono un museo sull’alimentazione. Alla fine, su tutte prevale un’idea “impertinente”: la vecchia stazione accoglierà i capolavori artistici realizzati nell’arco temporale che va dal 1789 al 1914, tutte le opere che, divise per tema, descrivono la parabola del cosiddetto Secolo Lungo.
L’idea di immaginare un museo strutturato secondo categorie diverse da quelle stabilite è un espediente narrativo che permette a Philippe Daverio di realizzare una critica d’arte in forma di racconto storico-tematico e diversa dalla consuetudine. Chiunque poi abbia un minimo di familiarità con la storia museale coglie immediatamente il rimando alle vicende che hanno visto la Gare d’Orsay (stazione ferroviaria un tempo centrale di Parigi) trasformarsi nel 1986 nel più grande museo dell’Impressionismo e del post-Impressionismo. Al contempo, è evidente il riferimento contenuto nel titolo alla categoria storica coniata da Eric Hobsbawnn. Curiosità e immaginazione dunque, unite a un occhio acuto e competente, non mancano di certo all’autore, ma questa volta il suo progetto è decisamente più ambizioso: “abolire categorie dello spirito oggi innegabilmente obsolete” e ripensare la nostra epoca. L’idea di fondo è che la modernità recente non sia che il frutto degli sviluppi tecnologici e scientifici del Secolo Lungo. Tuttavia, ripensare le categorie interpretative da un punto di vista storiografico richiederebbe un’impresa titanica, mentre dal canto loro le arti visive offrono l’indiscutibile vantaggio dell’immediatezza che permette alla pittura di varcare le frontiere del tempo senza bisogno di particolari interpretazioni. Così, nonostante le innegabili differenze formali, La morte di Sardanapalo di Delacroix e Les demoiselles d’Avignon di Picasso possono dirsi assonanti per il medesimo gesto di rottura con la tradizione che entrambe trasmettono, poco importa se l’una appartiene al Romanticismo e l’altra viene considerata come il manifesto del Cubismo. Lo stesso discorso vale se si presta attenzione al tema politico che, a partire da una certa data, si impone come principale oggetto di rappresentazione: nel quadro 3 maggio 1808 (La fucilazione) ad esempio Goya restituisce lo sgomento dei cittadini madrileni che stanno per essere fucilati dai soldati delle truppe napoleoniche. Molti anni dopo Picasso rappresenterà con la stessa immediatezza e lo stesso realismo il terrore della popolazione vittima delle fucilazioni in Corea. Così, nonostante Goya dipinga nel 1814 e Picasso nel 1951, entrambi riescono a ritrarre la crudeltà della guerra e a mostrare la consapevolezza, espressa nei volti dei cittadini, di morire per la libertà della propria patria.
L’età moderna era iniziata molto prima dello scoccare del 1800 e si era estesa ben oltre i suoi confini cronologici: questo voleva dirci Hobsbawnn quando parlava di Secolo Lungo. Ma la modernità - vuole suggerirci Daverio - non si è affatto esaurita nel 1914: “gran parte del mondo che oggi, con una categoria disordinata come quella degli “impressionisti” chiamiamo “avanguardia” altro non è che la conclusione d’un ciclo iniziato nel formalismo e terminato nella demolizione della forma”. E nessun medium artistico è in grado di mostrarci questo dato di fatto come le arti visive. A noi lettori non resta che seguire il ragionamento acuto e l’occhio vigile dell’esperto nel suo viaggio immaginario attraverso i capolavori dell’arte.
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