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Buona la trama che, pur non rinunciando a trattare temi di ampio respiro, risulta più personale e centrata sulle scelte del singolo (nonché sul prezzo da pagare che tali scelte comportano). Ottimi i personaggi che mescolano cinismo e romanticismo, nobiltà e viltà, crudeltà e desiderio di redenzione il tutto restando vivi e credibili (l’Alesa di Lilin come il Werther di Goethe? Magari meno patetico e di sicuro meglio vestito.) La prosa risulta ricca e articolata ma ottimamente scorrevole con le classiche “interruzioni” tipiche dell’autore (storie nella storia che spezzano lievemente la narrazione pur restando godibilissime), ma quest’aspetto di Lilin o lo si ama o lo si odia. La storia si svolge in un arco temporale molto ristretto e il bilanciamento tra azione e “parti riflessive” è eccellente, l’unico difetto è l’eccessiva brevità del romanzo. Seriamente, in poche ore si arriva alla fine e, come per tutte le belle storie, ci si ritrova a pensare cosa ne sarà dei personaggi…
Lilin è uno scrittore dalla prosa fragile, spesso banale ma dai contenuti forti, grazie ai quali, riesce a generare una certa tensione narrativa e a mantenerla, sicché, quando comincio a leggerlo, consapevole della sua limitatezza in senso strettamente letterario e i numerosi stereotipi, è difficile che non ci rimanga in qualche modo attaccata per via di quei tre o quattro argomenti che evidentemente su di me hanno una certa presa: lucida spietatezza, inopinata fragilità, ineluttabilità degli eventi e permeante virilità. Nel complesso però non posso né definirlo un buon libro né tantomeno consigliarlo ai lettori con gusti e percorsi letterari simili ai miei.
Lilin si evolve, scrive dei temi che avevo apprezzato nei primi due suoi libri e che lo hanno reso famoso, come la criminalità', la guerra, la violenza feroce: li mette pero' al servizio di una storia che racconta il cambiamento della Russia e l'invecchiamento del personaggio principale. I temi toccati sono tanti, la natura umana, l'ineluttabilità' del fato, il cinismo, gli ideali. Si vede un intento letterario che testimonia la crescita dell'autore. L'intreccio e' un po' troppo articolato e poco verosimile, ma e' chiaramente strumentale ed e' scritto con il consueto stile asciutto, potente e feroce.
Recensioni
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La storia di un killer che non ha paura di niente, tranne che della propria umanità.
Un romanzo sulla libertà
di scegliere, sulle tenebre e la luce
che abitano negli uomini. Perché anche
quando il destino sembra scritto, si
può decidere da che parte stare.
Dopo aver scioccato il pubblico con Educazione siberiana, da cui l’omonimo film del 2013 di Gabriele Salvatores, Lilin torna alla ribalta con un altro romanzo dalle tinte forti. Protagonista delle vicende narrateci da Lilin è Alëša, che fin da giovanissimo apre la sua carriera nel mondo della malavita con un omicidio. Criminale efferato e lettore intrepido dei grandi classici della letteratura mondiale, Alëša comincia a sentirsi stretto nei panni del killer perciò decide di porre fine a questo stile di vita dopo il suo ultimo assassinio. Teatro della vicenda è Milano, dove incontrerà Marta, che lo porterà a rimettere in discussione tutto se stesso.
Le stesse atmosfere di Educazione tornano a colpire il lettore allo stomaco, senza mai smettere di sorprendere per la sua asprezza e crudeltà. Basta un niente per lasciarsi ferire dallo stesso colpo di pistola che ricevono le vittime di Alëša e, allo stesso tempo, per provare empatia nei suoi confronti davanti alle emozioni che i capolavori della letteratura fanno nascere in lui.
Lo stile di Lilin riporta il lettore a quello dei grandi romanzieri russi: ricco di subordinate ed estremamente descrittivo. L’attenzione maniacale verso i dettagli e l’introspezione ricorda opere come Oblomov. Assolutamente consigliato agli amanti della letteratura dell’est e ai bibliofili incalliti, che non rimarranno affatto delusi dai riferimenti letterari di cui sono ricche le pagine di Spy story love story.
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