Un consuntivo del lavoro svolto negli ultimi cinquant'anni da Tullio De Mauro e dai suoi molti collaboratori per descrivere e modificare l'aspetto linguistico d'Italia. Un bilancio tanto addentro alle cose e aggiornato da citare pubblicazioni in corso di stampa o interventi appena caricati in rete. La materia è dominata in virtù della formazione classica dell'autore, che consente di ritrarre la storia linguistica della penisola partendo dagli insediamenti pre-latini; di citare Orazio per moderare la vis corrigendi degli intellettuali normativi; di spiegare con strumenti saussurriani come funziona la lingua. Imperturbabile eppure coinvolto, come continua ad essere questo studioso classe 1932, De Mauro accenna un saluto di congedo dal teatro della propria attività intellettuale e politica, esprimendo un distacco fermo e affettuoso tramite i versi di Pasolini posti in apertura e lo sprone delle pagine conclusive: se l'italiano, in mezzo secolo, è diventato la lingua parlata naturalmente dal 95 per cento degli abitanti della penisola, pur al prezzo "di singole sciatterie linguistiche", ciò non esime dal "preoccuparsi (
) delle (
) fratture nella comunità italiana che impacciano per molti l'uso pienamente competente del linguaggio". Per migliorare la coesione culturale, e quindi linguistica, è importante avviarsi lungo "gli efficaci percorsi che altre società in Europa e nel mondo hanno imboccato e stanno seguendo": alzare il livello di istruzione di giovani e adulti, promuovere il desiderio "di informarsi in modo non effimero, lo sviluppo di stili di vita che favoriscano il bisogno e l'apprezzamento della cultura intellettuale, dei saperi, delle scienze". L'esposizione per punti dà forma a molte pagine del volume, ad esempio a proposito di minoranze linguistiche europee, di emigrati e retroterra italiano, delle tappe che conducono da usi rudimentali della lingua allo sviluppo dei linguaggi formali. Con il carisma di chi, avendo vissuto e insegnato nella capitale, ha saputo segnare la politica linguistica del proprio paese, De Mauro rivela anche in questo libro le sue qualità di storico: l'interesse a raccogliere dati; ma soprattutto la capacità di leggere quei dati, perché "ogni misurazione va integrata da considerazioni qualitative". De Mauro non rinuncia a mostrare la continuità con la storia più antica, come nell'appendice dedicata all'onomastica della penisola, a partire dal nome Italia; torna con nuovi dati a spiegare l'apporto latino all'italiano delle origini e allo sviluppo linguistico delle lingue europee in epoca moderna e contemporanea, compreso il tanto temuto inglese, "la più latinizzata e romanizzata delle lingue non neolatine", dato che i suoi lessemi derivano per il 75 per cento da francese, latino, spagnolo e italiano. Recenti imprese lessicografiche ricostruiscono l'evolversi e mescolarsi delle lingue su scala europea, riprendendo l'impostazione che Wilhelm Meyer-Lübke aveva dato nel 1911 al suo Romanisches Etymologisches Wörterbuch: De Mauro allude ai lavori di James H. Dee, dedicatosi ai latinismi in italiano, spagnolo, francese e inglese (1997), e di Manfred Görlach, occupatosi degli anglicismi nell'Europa cinquecentesca (2004); entrambi svelano l'"indiretta, ma assai consistente efficacia latinizzatrice che l'inglese sta mostrando agendo sulle più diverse lingue del mondo". De Mauro affronta poi l'annoso problema dell'esuberanza sinonimica dell'italiano; e ammette che è "ancora privilegio di pochi il possesso degli strumenti di cultura necessari a mettere pienamente a frutto le ricche e complesse risorse del patrimonio linguistico comune". Pur attribuendo a Leibniz "la prima lucida diagnosi delle tensioni tra lingua comune e linguaggi scientifici, ma anche della inevitabilità del ricorso al parlare comune per edificare il linguaggio di una scienza", De Mauro non vuole sostenere che l'attuale sia il migliore dei mondi possibili. L'autore più citato nel libro è Pasolini, che ci si premura di assolvere dall'aver diagnosticato la morte dei dialetti: fenomeno che non sarebbe avvenuto (semmai, i dialettofoni ora sono bilingui, avendo acquisito l'italiano) e rispetto al quale Pasolini si era limitato, "in qualche modo, con qualche titubanza, e non senza emozione, (
) ad annunciare che è nato l'italiano come lingua nazionale". Nel libro si ricorre, per la profondità delle diagnosi e la capacità predittiva, anche a un altro osservatore sui generis: ad esempio a proposito dello sviluppo dei linguaggi specialistici, le cui dinamiche spesso sfuggono "allo stesso specialista, tanto immerso in esse da non rendersi conto del loro spessore, come già osservava felicemente Giacomo Leopardi". Insistendo nella battaglia a favore dell'eguaglianza dei cittadini, con continui richiami alla Costituzione, De Mauro non nasconde il rigurgito di qualunquismo su cui fa leva la politica italiana degli ultimi venticinque anni: un referente ideologico che ha provocato "il ricorso ad azioni di valenza simbolica ritenute più persuasive di analisi e discorsi" in antecedenti, "spesso umilianti e tragici", come fascismo, terrorismo, mafia, e spiega il frequente, esagerato turpiloquio di attuali "leader di importanti partiti". Francesca Geymonat
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