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Un racconto di taglio giornalistico, anche appassionante, anche ben strutturato nella sua rievocazione di un mito. Ma a quarant'anni di distanza sarebbe giunto il momento di ricerche storiche meglio documentate e meno mitologiche.
Ernesto Assante e Gino Castaldo hanno scritto per Laterza “Il tempo di Woodstock”. Ho grande stima dei due. Fanno parte di una generazione che ha cancellato lo stereotipo per cui i giornalisti musicali sono in qualche modo giornalisti di serie B. Basta leggere l’Ode in morte della musica di Castaldo (scrive di musica e filosofia come Sgalambro, solo che è comprensibile…) per rendersene conto. Questo volume è un bel viaggio nel tempo e nei luoghi di Woodstock. Gustosa è la sezione dedicata al racconto vivo di quei giorni, dove tutta una serie di fattori combinarono in maniera casuale (ma non troppo) affinchè quel concerto diventasse leggendario per l’intero pianeta. Oltre la cronaca, c’è il racconto, veloce, preciso, appassionato di una controcultura, di una visione che fu di tutta una generazione. Woodstock è un evento unico nel suo genere perché fu la Polaroid di quella generazione, tutta, con i suoi difetti nella messa a fuoco e nella nitidezza dei colori. Ma è stata l’unica volta, nella storia del mondo, che una generazione si raccontasse in presa diretta.
Libro sostanzialmente diviso in tre parti. La prima la più pesante e a tratti noiosa che illustra il periodo storico in cui nacque i concerto, noioso perchè a volte ripetitivo sui concetti espresssi. La seconda appassionante con la cronistoria del concerto e una breve introduzione sui gruppi che vi parteciparono. La terza interessante sull'eredità e cosa resta del concerto e delle idee che tale cultura che l'ha espresso ha lasciato in eredità. Volume che serve più alle nuove generazioni che a quelli che in qualche modo data l'età l'hanno "vissuto" in diretta o quasi.
Recensioni
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Leggere questo libro è come rivivere un sogno. Un grande sogno collettivo, simbolo di un'epoca e di una generazione. Il tempo di Woodstock è il 1969, l'estate di 40 anni fa. I protagonisti erano gli hippies, i "figli dei fiori" che animarono il più grande festival della musica mai organizzato, dal 15 al 17 agosto 1969, a Bethel, una piccola città rurale nello stato di New York, nelle campagne della costa est degli Stati Uniti.
Ernesto Assante e Gino Castaldo, giornalisti e critici musicali di Repubblica, scrivono che dobbiamo pensare a Woodstock come «l'effetto generato da anni di controcultura, come la materializzazione di visioni coltivate da una generazione che, come mai prima nella storia, aveva varcato il confine tra la realtà e l'immaginazione». Accadde che le migliori menti musicali che circolavano in quel momento nel mondo - musicisti del calibro di Joan Baez, Bob Dylan, Joe Cocker, Jimi Hendrix, Janis Joplin, Santana, gli Who, i Grateful Dead, Crosby, Stills, Nash & Young - venissero riunite tutte sullo stesso palco per un megaconcerto che varcò ben presto i confini del semplice evento musicale. Woodstock, con i suoi 500.000 partecipanti, fu «una foto di gruppo dell'energia esplosiva e liberatoria» sperimentata già dal 1966 nei campus americani, poi nell'«estate dell'amore» libero nel 1967, infine nella contestazione giovanile in tutto il mondo del 1968. Di quella foto «mossa, sovraesposta, successivamente manipolata, truccata, imbellettata», il libro vuole svelarci il negativo originale. Lo fa attraverso il racconto di tre giorni di musica, droga, sesso e rock 'n' roll, ovvero il romanzo di formazione della cultura giovanile.
Woodstock fu il primo grande laboratorio di «prove generali per un mondo libero»: la sperimentazione, dalla musica, arrivò a toccare ogni aspetto dell'esistenza, i rapporti interpersonali, il sesso, la famiglia, i comportamenti pubblici e quelli privati. La società, la scuola, l'istruzione, lo Stato, quello che si chiamava il "sistema", tutto era sottoposto a giudizio. «Eravamo di fronte scrivono gli autori - alla teoria e alla pratica di una rivoluzione mancata»: quel mondo nuovo, intravisto nei sogni psichedelici e nelle canzoni di Dylan e Hendrix, si tentava di edificarlo. Un laboratorio di libertà come quello non era mai successo, almeno in quelle proporzioni, e mai più sarebbe successo in seguito.
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