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Descrizione


Ai piedi del monte Ros, impassibile nella sua armatura di ghiacci, dimora degli dei, centro del mondo conosciuto, si estende una pianura fitta di boschi e pericoli. In questa terra a sud delle Alpi, disabitata e talmente inospitale che nel 101 a. C. non ha ancora un nome, sono schierati uno di fronte all'altro, su una superficie lunga chilometri, i due eserciti più grandi del continente. Duecentomila uomini pronti a combattere corpo a corpo, a massacrarsi fino allo stremo: a fare la guerra nel modo in cui la guerra veniva fatta oltre due millenni fa. Da una parte un popolo di invasori, anzi di "diavoli", che ha percorso l'Europa in lungo e in largo, portando distruzione ovunque, ed è dilagato nella valle del Po saccheggiando città e villaggi, mettendo in fuga gli abitanti. È il popolo dei Cimbri, invincibile da vent'nni e deciso, forse, ad attaccare persino Roma. Dall'altra parte c'è il console Caio Mario, l'uomo nuovo della politica, con il suo esercito di plebei ed ex schiavi, l'ultimo in difesa dell'Urbe. Quella che stanno per affrontare non è una battaglia, è lo scontro tra due civiltà al bivio cruciale della sopravvivenza, è un evento destinato a cambiare la Storia. "Terre selvagge" è un viaggio nel tempo, in un'Italia ancora misteriosa, così vicina e così lontana da quella che conosciamo. È il racconto di una pagina drammatica della vicenda umana, finora avvolta da incertezze, falsità e malintesi.
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Dettagli

2014
2 aprile 2014
297 p., Rilegato
9788817074759

Valutazioni e recensioni

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Recensioni: 4/5
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Anto
Recensioni: 3/5

Si tratta di un romanzo storico ambientato nel 101 a. C. nei Campi Raudii, dove si tenne lo scontro definitivo tra il popolo dei Cimbri e i Romani. I Cimbri, provenienti dalla Scandinavia, avevano attraversato tutta l'Europa, sostenuti anche dall'alleanza con Teutoni ed Ambroni, ed erano giunti al cospetto del monte Ros, monte sacro per i Galli, alla ricerca di una sorta di terra promessa in cui stabilirsi definitivamente. Erano un popolo di guerrieri molto forti, ma poco organizzati nelle tattiche militari, eppure erano stati in grado di sconfiggere l'esercito romano, arrecando loro un numero grandioso di perdite. Ed era per questo che, Caio Mario, l'uomo nuovo, aveva convinto il Senato di Roma ad integrare l'esercito con servi ed italici. Caio Mario, ricostituito l'esercito, era deciso ad annientare i Cimbri e a riconfermare la potenza di Roma. Si diresse, quindi, verso i Campi Raudii, l'attuale Piemonte, per ottenere il suo obiettivo. La zona era allora paludosa e selvaggia, poco adatta ai Cimbri, i quali erano abituati ai climi più freddi. L'impresa per i Romani non fu semplice e la lotta durò 4 giorni interi, procurando vittime da entrambe le parti. I Cimbri furono annientati e le donne si occuparono di uccidere gli ultimi superstiti, i propri figli e loro stesse, contribuendo così all'annientamento totale del proprio popolo. In questo contesto, Vassalli racconta anche la storia del fabbro Tasgezio e di Sigrun, figlia di uno dei più valorosi capi tribù dei Cimbri, che scampano alla morte perché destinati dai loro rispettivi dei ad una vita comune. Il libro è istruttivo perché tenta di ricostruire un episodio cruciale della storia antica, smascherando le bugie del resoconto di Silla, acerrimo nemico di Caio Mario e accompagnando il lettore in quei luoghi desolati con le descrizioni dettagliate dei paesaggi e degli insediamenti militari. L'ho trovato, però, un po' troppo ripetitivo poco centrato sui giovani protagonisti.

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S_amara
Recensioni: 5/5

Assolutamente uno dei miei preferiti libri di Sebastiano Vassalli, nel quale ho apprezzato in particolare lo sviluppo narrativo molto più articolato rispetto ad altri lavori più datati, come ad esempio "La chimera" o "La notte della cometa", nei quali la voce narrante sembra più quella di uno storico. Piacevolissima lettura.

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pai_mei
Recensioni: 5/5

Splendido. Avevo già apprezzato l'abilità di Vassalli ne La Chimera.\nUn autore che vale la pena scoprire e Riscoprire più volte

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Recensioni

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Voce della critica

  Né pre né fanta-storia nel nuovo romanzo con cui Sebastiano Vassalli fa il salto da Einaudi a Rizzoli. Piuttosto un affondo in una storia che ha le sue date e i suoi luoghi ma che vive a un tempo in una sua marcata precarietà documentale, in un'incertezza di nozioni, in una sorta di polverosa (proprio come quella polvere che avvolge l'evocata battaglia dei Campi Raudii, così sottilmente significativa di quell'altra polvere in cui sempre consiste il senso ultimo delle nostre vite e dei nostri destini). Storia, insomma, che costringe l'invenzione a un notevole (e coraggioso) lavoro di integrazione, di immaginazione, e direi persino di divinazione. Ne avranno orrore lo storico di professione? Il romanista in cattedra? L'archivista e l'antichista erudito? Può pur darsi, e probabilmente anche con buone ragioni, se lo stesso Manzoni ebbe a trovare i suoi storiografi-censori (penso al "crociano" Fausto Nicolini e alle sue correzioni al Seicento dei Promessi Sposi). Tanto più, poi, quando si arretri a tempi la cui documentabilità sia (come nel caso di Terre selvagge) così vistosamente arcaica, risalendo a una plaga specifica dell'Europa "grande e misteriosa" di "duemila e cento e quindici anni fa", tuttavia inconsapevolmente proiettata verso un'Europa che forse sta per venire (o che forse verrà). Un versante della critica, questo, su cui non avrei nulla da dire, se non per registrare quel tanto di perplessità che sempre prende quando capiti (in un continuo moto pendolare tra l'oggi-futuribile e l'allora più lontano) di accostare sentimenti tanto più avventurosi, mentalità tanto più ignote, psicologie tanto meno afferrabili. Se la storia, come Vassalli sostiene da sempre, e come torna a sostenere anche qui, "è un racconto", e "la verità non la regala nessuno", sarà dunque un'altra la strada da intraprendere per leggere il suo ultimo romanzo. Non tanto la corrispondenza possibile tra storiografia e narrazione (sulla cui incertezza lo stesso Vassalli mostra tutte le perplessità del caso, mettendo a confronto testimonianze diverse e diversamente attendibili), ma invece la concezione di una "storia" che non sta come sforzo e recupero di verosimiglianza, ma come teatro di gesta, come grembo di vicende, come enorme serbatoio di vite. Qui abbiamo due grandi campi narrativi che si alternano e s'intersecano: per un verso la battaglia dei Campi Raudii (il cuore spietato di tutto) e attraverso quella battaglia, vinta dai Romani contro i Cimbri, un immane conflitto di popoli che la "storia" inscena e rappresenta; per altro verso le vite individue che disegnano i fragili e frastagliati destini, le piccole, le minime "storie" dei personaggi a cui (dico narrativamente) toccano qui le parti accessorie. Da un lato, insomma, la forza cogente e rovescia del fatto grande, dall'altro la piccola vicenda di personaggi (lievemente e anche simpaticamente acclimatati) che portano per caso il segno di una condizione marginale, di un periclitante, ma non insignificante destino. Vale a dire un'inversione strategica di non piccola portata, perché la maiuscola qui prevale largamente sulle minuscole. A fare da connettivo tra queste e quella, più ancora che l'incidenza dell'operare umano, l'antica idea (a Vassalli del tutto congeniale) di una geografia delle "terre selvagge" (tra il "monte Ros" e le sponde della Sesia, o, come dice lui, del Sesia e del Po) che alimenta vigorosamente ogni sua piccola o grande fantasia d'autore. Voglio dire che sempre il paesaggio in Vassalli (e qui con un più di fascino e rabdomanzia) ha i tratti di un vero e proprio personaggio. Né si tratta semplicemente di segnalare le tinte espressive in cui si declinano i movimenti stagionali (da una primavera a un'altra) inducendo a indicare le più belle pagine di un'eventuale antologia narrativa, e invece (ancora una volta) di sottolineare la fedeltà a un luogo di cui si avverte, fuori da ogni cedimento sentimentalistico, un'irriducibile nostalgia: e basterebbe pensare alla presenza delle acque e delle stelle, al legame uomo-animale, alle risorse divinatorie, alla druidica comprensione dei boschi e delle piante. Ma a costituire il fascino maggiore di Terre selvagge a me pare che sia il tratto lì per lì apparentemente più sconcertante: ossia il tratto discorsivo, quasi didattico della narrazione, insieme con l'ampio ricorso a un'onniscienza d'autore consapevole di tutta la precarietà del suo ruolo. Un narrare, per così dire, "basico", elementare, che non è di per sé nuovo nell'opera di Vassalli. ma che qui rivela un di più: un più di vicinanza, di prossimità all'ipotetico lettore. Un po' come nel Leskov di Benjamin o nelle Veglie di Gogol. Ciò significa (desunta ogni intenzione poematica) un narrare "omerico", che è sforzo di semplicità, adeguamento d'attenzione, tensione verso una scrittura che conservi almeno la parvenza di quell'oralità perduta da cui tutte le storie vengono come le foglie dai rami, come i rami dalle radici. In questo senso (e non solo in questo) Terre selvagge è titolo che nella bibliografia di Vassalli va messo tra le opere più persuasive.

 

 

Giovanni Tesio

 

 

 

 

 

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La recensione di IBS

Vincitore del Premio Flaiano 2014

Sebastiano Vassalli è un maestro nella creazione di mondi. La sua scrittura è narrazione avvolgente, affabulazione e confidenza, è costruzione, passo dopo passo, di architetture e orizzonti. Narratore più che scrittore, vincitore del Premio Strega nel 1990 con il romanzo La chimera (Einaudi), torna alle stampe con un romanzo storico appassionante e intenso, dedicato a uno dei periodi più affascinanti della vicenda umana.
Siamo nel 101 a.C., anzi nel 652mo anno dalla fondazione di Roma, e ci troviamo in quelle che Vassalli chiama le “terre selvagge” e che gli storici romani chiamavano, senza meglio specificare il luogo, i Campi Raudii. Si tratta del nome antico con cui veniva identificato il Piemonte, la parte di Pianura Padana attraversata dalla Dora, dal Sesia, dal Tanaro oltre che dal Po. In questi territori boscosi e putridi, terreni alluvionali risultati dal passaggio di molti fiumi a carattere torrentizio, avvenne una delle più sanguinose battaglie dell’esercito romano contro un popolo barbaro: il popolo dei Cimbri. Un episodio che vide affrontarsi due grandiosi eserciti e il cui racconto è pervenuto fino ai nostri giorni in una versione edulcorata, o forse ampiamente rimaneggiata, da parte di coloro che poi la storia l’hanno scritta: i romani.
Sebastiano Vassalli si mette sulle tracce di questa antica leggenda e ci porta in mezzo alle legioni dell’esercito romano guidate da due consoli molto diversi tra loro. Da una parte c’è l’esercito guidato dall’aristocratico Lutazio Catulo e dal suo braccio destro, il giovane Silla. Un gruppo demotivato che ha già subito sul Ticino un’umiliante sconfitta. Dall’altra, direttamente dalla Gallia, l’esercito vittorioso guidato dall’Homo novus della politica romana, Caio Mario, che è riuscito con l’astuzia a sterminare e disperdere gli eserciti dei due principali alleati dei Cimbri, i Teutoni e gli Ambroni. Adesso i due eserciti, uniti sotto la guida del coriaceo Mario, attendono nell’accampamento, nelle terre selvagge, lo scontro decisivo con i terribili Cimbri guidati dal giovane Boiorige.
Il loro principale nemico è la paura. Paura della statura imponente di questi barbari, della loro fama che li accompagna da vent’anni e dei loro canti di morte che di notte, dagli accampamenti, riecheggiano per tutta la valle. I romani non sanno che anche i Cimbri stanno vivendo dei momenti di forte sconforto. Stanchi e stremati, dopo aver attraversato le Alpi hanno perso la metà dei loro uomini e molti dei loro armamenti. Hanno perso anche le tracce dei loro alleati, ma soprattutto hanno trovato laggiù, sulle rive del Po, ai piedi del monte Ros (il monte Rosa) la terra che i loro dei hanno loro descritto come la terra promessa.
Attaccare l’esercito romano ed arrivare fino alle porte di Roma è un’impresa che non tutti si sentono di compiere e che forse sta a cuore solo al loro ambizioso re Boiorige e a sua moglie, la bella Rhamis. Tutti sanno che lo scontro finale inevitabilmente porterà alla rovina di uno dei due popoli.
Oggi, dopo migliaia di anni, cosa ci resta di questa storia? Le terre selvagge non esistono più, le paludi sono state bonificate e il fiume Sesia domato da decine di ponti. I terreni sono stati coltivati, a partire proprio da quella riforma agraria voluta da Mario e di cui beneficiarono i grandi latifondisti, come Silla, protagonisti vecchi e nuovi di tutte le storie del mondo. In quelle terre scelte dai Celti come loro patria ideale morirono centoquarantamila nemici. Cosa resta di quei corpi? Cos’avranno da raccontarci gli eroi di questa storia? A volte, sostiene Vassalli, per comprendere cosa abbiamo davanti ai nostri occhi, è necessario guardarsi indietro.

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Sebastiano Vassalli

1941, Genova

Scrittore italiano. Nato a Genova, sin dalla prima infanzia vive in provincia di Novara. Laureato in Lettere a Milano, ha discusso con Cesare Musatti una tesi su "La psicanalisi e l'arte contemporanea".Dagli anni sessanta si è dedicato all'insegnamento e alla ricerca artistica della Neoavanguardia, partecipando anche al Gruppo 63. Solo in seguito si è dedicato anche alla scrittura, incontrando successo soprattutto grazie al suo romanzo storico La chimera, ambientato a Novara negli anni a cavallo fra il sedicesimo e il diciassettesimo secolo.Fra i suoi titoli ricordiamo - oltre alla già citata Chimera - La notte della cometa, Sangue e suolo, L'alcova elettrica, L'oro del mondo, Marco e Mattio, Il Cigno, 3012, Cuore di pietra, Un infinito numero, Archeologia del presente,...

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