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Il grande ritorno del thrilling. Zitti tutti.
Deludente la trama e lo sviluppo del film
Dopo Shadow Federico Zampaglione voleva fare un giallo dal sapore retrò con elementi di attualità e un sottotesto sovrannaturale. Per riuscirci scomoda la mitologia tibetana, che dà il titolo dell'opera e al night-club dove la manager (Claudia Gerini) trascorre le sue serate finché i suoi partner vengono uccisi. L'inizio mi era anche piaciuto con 2 ottime sequenze: il prologo bondage e l'omicidio sulla giostra. Due sequenze "argentiane". Due sequenze che danno un indirizzo chiaro a Tulpa, un profumo antico di "thrilling" una storia di cinema italiano in letargo. Ma Argento, oggi, è anche Giallo o Il Cartaio, e Tulpa è figlio di questa deriva. Se esteticamente Zampaglione omaggia e onora la storia del genere, contemporaneamente dimentica, ignora o semplicemente sottovaluta la scrittura, andando a soddisfare l'appetito di un pubblico distratto. Una manager di successo che frequenta di notte un club molto particolare ed esclusivo e dove si concede a sconosciuti. Questa è una idea, un soggetto, non può essere la struttura portante del film! Inoltre l'assassino è ridicolo, nella scelta dell'interprete, nell'interpretazione e soprattutto, poiché nonostante l'omaggio ai film di genere (non siano negli anni '80) è nel vestiario. In Tulpa manca la definizione dei personaggi (il possibile amante della Gerini, compare, scompare, ricompare nel finale estraneo alla storia) le loro psicologie (a cosa serve il personaggio di Placido?); l'indagine, la progressione della tensione, i colpi di scena, la lenta scoperta dell'omicida e soprattutto la credibilità, una rivelazione che possa "almeno" apparire plausibile. L'unica cosa buona del film è l'interpretazione della Gerini, che non implode sotto il peso di speranze o "legittime" ambizioni come il film.
Recensioni
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