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Ultimo parallelo racconta la sorte universale dei soccombenti, di chi si è confrontato con i propri limiti e ne è uscito sconfitto. La sorte di chi, come lo scrittore, «va a tentoni con l’incertezza simile a quella di chi procede nella nebbia o nella tempesta, su un paio di sci di rovere, protetto da un passamontagna di lana imbiancato dalla neve e dal ghiaccio»
«Leggete questo romanzo perché è un capolavoro.» - Gian Paolo Serino
«A Tuena non interessa tanto mostrare l’esito della ricerca, quanto ricostruire il processo attraverso il quale il ricordo si annuncia e si consolida, in un andirivieni istintivo di tentativi, scoperte ed errori.» - Alessandro Zaccuri
Questa è la storia degli uomini che giunsero al termine del mondo conosciuto: è la storia della conquista mancata del polo sud. Chi fosse stato accanto a loro li avrebbe visti stanchi e stremati, entusiasti e dolenti, in preda alle follie, abbacinati. Sono eroi che partirono carichi di pellicce, racchette, sci di legno, cani, provviste, pony siberiani, slitte, grammofoni, macchina fotografica, pianoforte, libri, medicine. E la cecità imposta dal delirio bianco dei ghiacci non impedì loro di nutrire senza requie il sogno di raggiungere una meta che non era solo geografica. Dal gennaio 1911 al marzo 1912 il gelo polare mise alla prova la resistenza disumana di quegli uomini alla ricerca del limite del mondo infisso nell'acqua ghiacciata. Attraverso la voce e lo sguardo di un narratore spettrale e innominato, capace di attenzione e intima pietà, in "Ultimo parallelo" riprende vita la spedizione del capitano britannico Robert Falcon Scott, che, il 17 gennaio 1912, dopo un viaggio di 750 miglia attraverso le distese dell'Antartide, raggiunge il polo sud insieme a quattro compagni. Durante il viaggio Scott e i suoi scuoiano e sezionano i pony per farne provviste, trainano da soli le slitte, sfigurati dal gelo e martoriati dalle tempeste di neve. Ma al loro arrivo trovano una bandiera nera attaccata a una stanga di slitta, in quella terra che assomiglia alla fine ultima del mondo. Scott aveva perso, gli inglesi avevano perso, il polo era dei norvegesi, di Amundsen.Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Il capitano Robert Falcon Scott e quattro compagni di viaggio (altri erano tornati indietro, come previsto, in coincidenza delle tappe intermedie) raggiungono il Polo Sud il 17 gennaio 1912. Vorrebbero essere i primi uomini a farlo, Amundsen però li ha preceduti di un mese. L’incubo del congelamento, il progressivo deperimento fisico, l’oftalmia dovuta alla luce accecante, l’isolamento, il senso di impotenza nei confronti di una natura tanto ostile ( le condizioni atmosferiche estreme rendono esercizio penoso anche l’allestimento delle tende e la preparazione del pranzo), sono ostacoli spietati che si oppongono alla determinazione della marcia. Filippo Tuena non si limita al rendiconto dettagliato di una crudele e beffarda sconfitta, nemmeno intende celebrare la gloria postuma di un manipolo di uomini coraggiosi. La sfortunata impresa è raccontata attraverso una scrittura elegante e sobria al contempo. L’autore si serve dei diari degli esploratori per documentare l’evolversi della marcia, ci rende partecipi delle loro letture (Dante, Browning, Tennyson e le Sacre Scritture), ci permette di sbirciare nelle lettere scritte ai cari lontani. Suggestiva la scelta di ricorrere spesso ad una voce narrante sui generis: si tratta di quell’uomo in più (allucinazione dovuta al freddo e alla fatica della marcia?) che gli esploratori guidati dal capitano Shackleton ebbero l’impressione di avere al proprio fianco in una successiva missione antartica. Thomas Sterns Eliot incluse questa enigmatica figura nella Terra desolata («Chi è quel terzo che cammina sempre al tuo fianco? Quando conto, ci siamo solo tu e io, insieme. Ma quando guardo avanti verso il sentiero bianco c’è sempre un altro a camminarti al fianco che scivola avvolto in un mantello bruno, incappucciato. Non so se sia uomo o donna. – Ma chi è quello che ti sta dall’altra parte?»). Forse si tratta di un invisibile abitante del continente antartico, magari una divinità che regna su luoghi così inaccessibili agli umani.
Bellissimo, è quasi un poema epico, però la prefazione leggetela dopo.
Scrittore evidentemente dotato di grandi capacità, riesce a creare suspence laddove il finale è noto, e a trasmettere le sensazioni dei protagonisti in modo accurato e coinvolgente. Un po' ridondante l'introduzione e alcune digressioni poetiche.
Recensioni
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Quando, quasi un anno fa, con le Classifiche di Qualità della rivista letteraria L’Indiscreto facemmo votare 600 tra librai, editor, scrittori, critici, blogger, redattori di altre riviste, giornalisti culturali e traduttori su quali fossero i libri italiani più importanti del ventennio 2000-2019, registrammo, tra tanti, un dato che ci parve rilevante: dei primi 100 libri, ben 13 erano usciti una prima volta per un dato editore, da lì erano finiti fuori catalogo, e successivamente erano stati recuperati da un altro marchio. Il che equivale a dire che in un mondo editoriale accelerato fino al parossismo (e solo oggi un po’ rallentato, ma per ragioni del tutto slegate dalle scelte di programmazione) il 13% dei libri ritenuti più significativi dagli addetti ai lavori ha avuto bisogno di un secondo giro in libreria per guadagnarsi tale status: un dato che andrebbe sottoposto anzitutto ai distributori.
Tra questi, ci sono anche libri che giungono al terzo giro, come Ultimo parallelo, il capolavoro (ogni tanto usiamola, questa benedetta parola!) di Filippo Tuena, che torna nuovamente in libreria per il Saggiatore dopo un primo “recupero” effettuato nel 2013 (la prima edizione, per Rizzoli, fu nel 2007). L’edizione odierna aggiorna il testo con un’introduzione dell’autore e alcuni brani inediti, confermando l’idea, cara allo stesso Tuena, che un libro non sia solo ciò che viene in prima battuta licenziato, ma l’intero arcipelago di riflessioni, materiali, avanzi e tagli che lo hanno condotto a quella forma. Che Ultimo parallelo sia un romanzo che finisce male, lo si può dire senza tema di spoiler, dato che documenta la fallimentare spedizione di Scott al Polo Sud: nella sua crudeltà e disillusione, e nel realismo esasperato che Tuena ottiene non tanto con gli strumenti della ricostruzione (pure impeccabile) quanto con quelli di una prosa a un tempo lirica e fatidica, che rimanda a T.S. Eliot e al McCarthy più spietato, è praticamente uno snuff novel. Si assiste sgomenti a una serie di morti, e si muore di nuovo, tutti, con Scott e i suoi, a un passo dal ritorno al campo – ed è un bel morire proprio perché inutile e disperato (non è forse sempre così, morire?).
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