Se, con una certa approssimazione, si volesse disegnare una piccola tassonomia dell'uomo che uccide, si porrebbero certo in due posizioni opposte la drammatica e tragicamente vera lotta per la libertà dei partigiani e il quasi ludico e dissacratorio eroismo dei pistoleri nei western visti in adolescenza. E parrebbero inconciliabili i due poli, come dimostrerebbe del resto l'esplosiva e paradossale cinematografia di Quentin Tarantino. Eppure l'esperienza di vita, ancora prima dell'opera, di Questi, sembra sottintendere che possa esistere un nesso persino tra questi due estremi, e ci sia in fondo un crocevia tra direttrici che parrebbero inesorabilmente divergere: nato nel 1924, da giovane partecipò attivamente e per lungo tempo alla Resistenza, più tardi, negli anni sessanta, divenne un regista atipico noto soprattutto per il suo western Se sei vivo spara, il Django tanto amato e ripreso dall'autore di Pulp Fiction. Ma questi due poli, apparentemente tanto diversi, si ritrovano anche nella raccolta di racconti recentemente uscita col titolo Uomini e comandanti dove si affiancano testi tipici della tradizione resistenziale, per stile oltre che per temi, ad altri (uno in particolare, Insonnia) che paiono essere usciti dalla celebre antologia Gioventù cannibale che diede il via alla stagione pulp italiana. Eppure l'interesse maggiore sta proprio nella contaminazione tra toni e filoni diversi che emerge nei racconti più riusciti o dalla sapiente giustapposizione delle singole narrazioni. Così, mentre in Documenti Questi riporta il trauma causato da un episodio narrato come reale del tempo della Resistenza, ovvero la sepoltura di un uomo vivo, subito dopo, in Insonnia, racconta le gesta notturne di un efferato serial killer con toni violenti e tinte splatter, virando magari sulla consapevolezza che l'immagine del sepolto vivo ricorderà il suo film più noto e la rivisitazione della scena operata da Tarantino in Kill Bill. L'esperienza reale appare perciò sublimata nella violenza fittizia o, più probabilmente, la violenza irreale e parossistica del suo western e del pulp rappresenta un esorcismo e un antidoto vano alle ferite indelebili della guerra: "Ma c'è un rivolo segreto e nascosto che continua a colare da quegli avvenimenti anche se lontani. Infiltrandosi nelle crepe, esso trova percorsi sotterranei nelle anime degli individui rimasti in vita. Possono crearsi pozze stagnanti che a volte, nel silenzio delle notti e dei sogni, riaffiorano rigurgitando". Le prove migliori sono comunque quelle nelle quali i due filoni si fondono imprevedibilmente, e lo fanno grazie alla deriva verso forme di mito, di natura per lo più biblica, che conferiscono una sacralità straniante all'intreccio e un valore assoluto alla parola. Sono gli uccelli, per lo più, i protagonisti di questa mitopoiesi spuria: uccelli già presenti nel primo e forse più potente racconto, Il roccolo, un sistema di gabbie per l'uccellagione utilizzato da un misterioso e rozzo selvaggio incontrato per caso da una staffetta partigiana, in un'atmosfera che può ricordare il più profondo west, ma che improvvisamente mostra un'apertura metafisica piena di dolore: "gridò lo Spirito Santo in persona! E subito gli schiacciò la testa tra le dita". La metafisica degli uccelli ha un corrispettivo terreno e sudicio, le blatte, che invadono la terra in Graffiti di provincia (L'invasione) e vengono contrastate solo da un gallo diabolico o divino (anche se: "l'Arcangelo Gabriele caga dappertutto"). Qui il sottotesto biblico è esplicito e genera uno stupore nel lettore che ricostruisce una inaspettata mappatura del ricordo e dell'invenzione richiamando alla memoria un racconto precedente più strettamente resistenziale, Gioventù, che si conclude così: "non è necessario credere in Dio per portare a buon fine un omicidio". Nella postfazione lo storico Angelo Bendotti ricostruisce gli episodi della vita partigiana vissuti da Questi e raccontati in questo libro. Scopriamo quindi quanta realtà ci sia nell'apertura narrativa, e come diversi personaggi siano stati davvero parte della vita dell'autore. Del resto, la letteratura resistenziale ci ha abituati all'urgenza del raccontare e un nucleo dei testi risale agli anni quaranta; tuttavia a Questi è ben presente la contaminazione tra verità e finzione, è anzi questo uno dei temi chiave del libro. Appoggiandosi a dichiarazioni dello stesso autore, Bendotti parla nella postfazione di "demitizzazione (o dissacrazione) degli avvenimenti", nonostante il fatto che il mito biblico sia richiamato più volte e sostanzi l'ossatura della narrazione. È questa la novità e la forza del libro, che è stato associato a quelli di Fenoglio o del primo Calvino, ma qui l'invenzione e il ricordo non possono essere scissi, il mito e la realtà convivono, anzi il mito si offre come intrinseco alla vita vissuta, agli episodi di un tempo di cui serba memoria, al riparo da qualsiasi superfetazione intellettualistica. La tassonomia dell'uomo che uccide, insomma, si riduce per Questi a un solo caso: quell'uomo conosciuto da giovane nei boschi lombardi è lo stesso fatto di carta o celluloide ricostruito poi. Alessandro Cinquegrani
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