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Neuman pone in un paesino della Germania ottocentesca il protagonista de "Il viaggiatore del secolo", ovvero Hans, un traduttore squattrinato ma a cui piace viver bene, che prende dimora in un alberghetto e si ritrova a vivere i salotti culturali del centro, invaghendosi ben presto della bella Sophie, già promessa ad un nobile del luogo. Sarà proprio questa passione travolgente che impedirà all'uomo di andare via, anzi di rimanere sempre più attaccato alle vicende del piccolo paese e soprattutto alle persone che lo popolano: l'amico Alvaro, il mendicante suonatore di organetto con cui divide cene improvvisate in una grotta e il suo fido cane, i borghesi con i quali intrattiene conversazioni filosofiche e letterarie in pomeriggi noiosi, facendo di quei salotti il fulcro di brillanti osservazioni, che dall'Ottocento arrivano fino a noi. La trama è viva, complici i delitti che turberanno la quiete così tanto amata e sbandierata dagli abitanti, che alimenteranno nuove vicende per un finale d'effetto, brillante. Sicuramente un buon lavoro, innovativo, un po' sopra le righe e sopravvalutato, soprattutto per certi passaggi poco chiari e l'andamento a dir poco prolisso. L'autore è stato definito come il precursore tra gli scrittori del XXI secolo per stile e contenuti, “critica” che si accetta con riserva, aspettando con calma placida i romanzi che verranno, per trarre le debite conclusioni.
Un uomo, Hans, si ferma in una città tedesca della prima metà dell'Ottocento, e non riesce più a venirne via. Incontra un amore impossibile, un amico sincero e un saggio suonatore di organetto che vive alla giornata. Scopriamo la società e la storia dell'epoca, la rabbia dei rivoluzionari traditi, l'ascesa di Metternich, il compiacimento e l'ipocrisia della ricca borghesia, le catene della schiavitù della classe lavoratrice, l'amore per la poesia e il gusto della traduzione come modo di penetrare il linguaggio di un artista (c'è pure quel nuovo poeta italiano, Leopardi). Colpisce il modo di raccontare i dialoghi, usando le parentesi e la punteggiatura invece delle virgolette. E il saluto finale del vento, che si infila lungo i luoghi della storia e passa in rassegna i diversi personaggi, in un unico periodo di tre pagine, senza un punto, come in un'unica ripresa cinematografica.
Trovo sorprendente che la mia sia la prima recensione su questo grande libro....un romanzo ottocentesco che non ha nulla da invidiare ai grandi capolavori russi o francesi ..con richiami continui a tutta la letteratura europea.. Neuman giovanissimo scrittore ma imbarazzante mente bravo
Recensioni
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Tra gli autori di letteratura di lingua spagnola delle ultime generazioni, Andrés Neuman, classe '77, nato a Buenos Aires da genitori argentini ma radicato in Spagna dal 1990, è uno dei più talentuosi ed eclettici: lo conferma il suo quarto romanzo, Il viaggiatore del secolo, che in un solo colpo nel 2009 ha ricevuto, in ambito iberico, sia il prestigioso Premio della Critica, sia quello editoriale Alfaguara de Novela. Il romanzo di Neuman è di quelli che mal si adattano alle facili, e per antonomasia riduttive, classificazioni, ed è chiaro sin dalle prime pagine che l'autore ispano-argentino punti a spiazzare il lettore, persino quello più esperto.
Inizialmente, sembrerebbe di avere a che fare con un romanzo storico: il secolo del titolo è infatti l'Ottocento, di cui si esplorano in particolare gli anni della restaurazione postnapoleonica, ricostruendone con grande perizia la sensibilità e le atmosfere intellettuali. Nel corso della lettura, però, ci si accorge che alcuni conti non tornano. Ad esempio, Wanderburgo ‒ la città in cui Hans, il nostro viaggiatore, fa il suo arrivo e dove decide di restare, avvinto dalla passione, intellettuale e carnale, per la spregiudicata e brillante Sophie Gottlieb è una città mobile, da un giorno all'altro le strade si spostano, certe botteghe svaniscono, altre scivolano un po' più in là, come nelle città invisibili di Calvino. E pure i personaggi che si muovono in questa città immaginaria e nel salotto di cui Sophie Gottlieb è animatrice, sono assai diversi da quelli del romanzo ottocentesco: il narratore, rigorosamente onnisciente, ne coglie i gesti segreti e le segrete inflessioni, ne ritrae le grandezze e le miserie, senza censurare neppure i momenti più prosaici della loro vita quotidiana. Alcuni conti sembrano non tornare, forse, perché Neuman gioca con il romanzo storico canonico e sceglie di raccontare il "suo" Ottocento dall'interno, con uno sguardo contemporaneo e con tecniche narrative postmoderne, eredità di avanguardie e di cinema.
Il romanzo storico diventa allora anche romanzo sentimentale, filosofico e gotico, narrato con un'intonazione umoristica utile a stemperare certe lungaggini, inevitabili effetti collaterali del tentativo di portare il lettore, lo abbiamo già detto, dentro a un salotto letterario di due secoli fa, dove si discorre lungamente, di Kant e di Fichte, di Schlegel e di Schleiermacher, di Metternich e di Napoleone, ma in modo non sempre funzionale allo sviluppo narrativo. Tra una discussione e l'altra, emergono le linee di continuità tra il XIX e il XXI secolo, ravvisabili nelle frequenti riflessioni su identità nazionale, appartenenza e patria, sviluppate con originalità e intelligenza: riflessioni convincenti e necessarie, per i personaggi, per il significato del romanzo e per il lettore odierno. Un romanzo fiume, ambizioso e tuttavia leggero, in grado di affascinare, per il suo carattere ibrido, colto e a suo modo pop, serio e ironico, un pubblico eterogeneo di curiosi lettori.
Anna Boccuti
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