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Anno edizione: 2018
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“Vivere con i libri” di Alberto Manguel fornisce, in un’elegia e dieci digressioni, diversi spunti di riflessione sulla lettura, i libri e la loro raccolta in biblioteche, sui sentimenti che ci legano a determinati autori e sulla parola. Eh sì, perché non è possibile parlare di libri senza parlare delle parole. La parola che da insieme di suoni, si fa insieme di segni e che fissandosi in raccolte tangibili, sotto forma di libri appunto, diventano “corpo”. Creature viventi le definisce Manguel; da oggetto si fanno soggetto di cui ci si innamora, a cui si fa fede e dal quale diventa impossibile staccarsi senza provare dolore. È questo rapporto “passionale” che l’autore ha con la propria biblioteca che viene messo in evidenza in diverse delle dieci digressioni che compongono il testo. Secondo voi, può risultare comprensibile a chiunque un rapporto di questo tipo con una cosa che per sua natura è inanimata? Io trovo il concetto piuttosto chiaro, anche se molti potrebbero considerarlo estremo. Il libro porta in sé quelle parole che un giorno hanno catturato la nostra attenzione, che abbiamo fatto nostre e che se rilette a distanza di anni, ci riportano indietro al ricordo di come eravamo. Quante sottolineature e citazioni hanno influenzato il nostro pensiero e il nostro modo di vedere le cose, condizionando spesso atteggiamenti e scelte fatte durante la nostra vita? Tutto questo deriva da un legame tra testo e lettore che possiamo definire, senza tergiversare, sentimentale. E in questo rapporto, ho come l’impressione che l’autore divenga parte terza; l’incomodo che si finisce facilmente col tradire. Impressione confermata da Manguel stesso quando afferma che quello che chi scrive intende trasmettere, non sarà mai ciò che il lettore percepisce. Ma ci sarebbe veramente tanto da discutere.
Ideale continuazione dello straordinario "La biblioteca di notte" (Archinto), Manguel ritorna a parlare del suo rapporto con la propria collezione di libri: mentre il primo volume prendeva a pretesto l'allestimento della biblioteca nella nuova casa dell'autore in Francia, questo si svolge a partire dall'imballaggio di quella stessa raccolta per un nuovo trasloco, questa volta verso gli Stati Uniti. L'occasione di "mettere negli scatoloni la mia biblioteca" (così suona il titolo originale inglese, eco di un celebre breve pezzo a tema bibliofilo di W. Benjamin) fornisce a Manguel lo spunto per numerose divagazioni sul valore del libro, in particolare come elemento di definizione dell'identità personale dell'individuo e della memoria collettiva dell'umanità, unica eredità davvero durevole in un'esistenza altrimenti effimera. Questa consapevolezza, unita alla circostanza della chiusura dei libri negli scatoloni, regala un tono malinconico al testo, come al solito ricco di raffinata erudizione. Non merita il massimo dei voti solo per l'impari confronto con "La biblioteca di notte", che rimane uno dei libri più belli mai scritti sul tema dell'amor librorum.
Un libro che tutti coloro che amano i libri (e, in particolari, quelli cartacei) dovrebbero leggere, poichè vi troveranno numerosi e labirintici spunti di identificazione per tutto ciò che concerne le propire abitudini di lettura e il proprio rapporto con i libri e con la propria biblioteca privata. Inoltre, nel caso che non sia mai capitato di leggere altri suoi libri, è una lettura che fa venire la voglia immediata di leggere tutti gli altri, siano essi opere di narrativa oppure saggi . Come appunto è nel mio caso. Per me, infatti, è immediatamente scattata la molla della curiosità e della voglia di approfondimento.
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