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Anno edizione: 2022
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«Non la desolazione della fabbrica. Ma la sua paradossale bellezza.»
«Un canto epico composto a nervi scoperti in una lingua da poeta proletario, brutale e dolce, nuda e pura» – Le Figaro littéraire
«Non è solo un esordio formidabile, è anche un pugno nello stomaco, un'opera, oserei dire, essenziale» – L'Express
«Poetico e politico, lirico e realista, il canto irrequieto di Joseph Ponthus sorprende, cattura, emoziona» – Télérama
Questo romanzo-poesia racconta di un operaio interinale che lavora in Bretagna, prima nella conservazione del pesce e poi in un mattatoio. Giorno dopo giorno elenca con precisione i gesti del lavoro alla catena di montaggio, il fragore, la stanchezza immensa, i sogni inghiottiti dalla ripetizione di riti sfinenti, la sofferenza del corpo e l'annullamento dell'anima. A salvarlo è il fatto di avere una vita parallela, interiore, animata dai grandi autori latini, dalle canzoni di Trenet, dai romanzi di Dumas. È la sua vittoria precaria sull'alienazione del lavoro ripetitivo, una vittoria nutrita anche dalla gioia delle domeniche, dall'affetto per un cane, dall'amore per una donna, dall'odore del mare. La scrittura in versi liberi, sospesa e concitata al tempo stesso, asseconda il ritmo della fabbrica che è la colonna sonora di questo poema del contemporaneo, questa Odissea in cui Ulisse combatte contro i suoi ciclopi: i frutti di mare da spalare e le carcasse dei manzi.
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Libro unico e sorprendente, originale nella forma adottata -il verso libero privo di punteggiatura- e nei contenuti, apparentemente inattuali. Ponthus, scomparso prematuramente a 42 anni, descrive in una struttura bipartita le sue giornate alla linea. In qualità di addetto dell’industria agroalimentare bretone conosce e “celebra” la fatica e l’abbruttimento della fabbrica contemporanea, prima nella lavorazione dei molluschi, poi della carne. La ripetitività dei gesti, i piccoli riti quotidiani, i malesseri fisici sono spezzati e variati solo dalle reminiscenze letterarie e musicali dello scrittore, laureato in lettere, ma anche dall’amore per la moglie e per il proprio cane, tutti elementi che gli consentono di sopravvivere ai turni e all’annullamento mentale e fisico. Si legge in un soffio.
Esiste ancora una classe operaia? Capitale, forza lavoro, fabbrica, linea di produzione: sono termini che paiono appartenere ad un gergo desueto, ad una diversa era industriale, a disquisizioni filosofiche relegate ai corsi accademici. Se non si è parte in causa, è difficile raffigurarsi una realtà che raramente trova spazio nella narrativa odierna. Ponthus supera lo schema della finzione e della rappresentazione: non immagina, ma vive la quotidianità della working class. La sua motivazione non viene da un progetto artistico, ma dalla concreta necessità di ottenere uno stipendio con cui mantenersi. La lavorazione ittica prima e il macello poi lo inglobano, alterano la percezione del tempo e del ciclo diurno, lo sfiniscono fisicamente, minacciano di alienarlo. Una forma di salvezza arriva dall’educazione scolastica ‘alta’ ricevuta, la stessa che parrebbe essere stata sprecata e vanificata dal precariato. Nella ripetizione e nella fatica della fabbrica, la mente divaga e trova agganci e rimandi negli autori studiati e nelle loro opere. La guerra in trincea di Apollinaire non è cosi dissimile dalla lotta quotidiana nel mattatoio. I pensieri trovano la forma di versi liberi che si depositano in rete per poi coagularsi in questa sorta di poema che evidenzia la paradossale bellezza della fabbrica, la forza e la resistenza di un’epica quotidiana divenuta invisibile ai più.
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