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Prima di iniziare la lettura di Canne al vento credevo di apprestarmi a leggere un romanzo verista in stile verghiano, cupo e malinconico, così aderente alla triste realtà isolana da risultare crudo come i più famosi romanzi di Verga. Invece l'esordio del libro è folgorante, con quella memorabile descrizione magica e finanche occulta dell'entroterra sardo, dei suoi folletti, delle sue streghe e dei fantasmi delle donne morte di parto che lavano i panni al fiume (secondo una leggenda popolare diffusa anche da noi in Lucania), dalle forti commistioni pagane e molto evocativa. Poi la vicenda rientra nei canoni del romanzo verista, con la vicenda di espiazione di Efix, servo di tre nobildonne nubili e decaduto, arroccate nel loro orgoglio di casta, superbe ed altere nella loro miseria. Ma il tocco del sovrannaturale, ovviamente sempre molto sentito dai protagonisti del romanzo ma mai davvero reale, torna sempre di quando in quando, a tingere di originalità il più bell'esempio da me letto finora di romanzo realista, anche se questa definizione mal si adatta del tutto ad un'opera così originale. Non vedo l'ora di leggere altro di Deledda, questo primo romanzo da me letto mi ha davvero piacevolmente sorpreso.
Leggo questo testo in età adulta perché purtroppo Grazia Deledda è un'autrice che non ho mai incontrato nel mio percorso scolastico. Sembra assurdo che l'unica donna insignita dal Nobel alla letteratura, non sia stata inclusa nei programmi. Spero davvero che le cose, ora, siano diverse perché siamo di fronte ad un'autrice che merita davvero di essere conosciuta, sia per la sua storia personale che per i suoi testi.
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