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Indice
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Mi trovo in un parcheggio a Leeds quando dico a mio marito che non voglio più stare con lui. David non è lì con me nel parcheggio. È a casa, a curare i bambini, e io l’ho chiamato soltanto per ricordargli che dovrebbe scrivere due righe per la maestra di Molly. L’altra cosa mi è come… sfuggita. Un errore. Ovvio. Evidentemente, e con mia grande sorpresa, sono il tipo di persona capace di dire al marito che non se la sente più di stare con lui, ma non pensavo davvero di essere capace di dire questa cosa da un cellulare, da un parcheggio. Adesso, è chiaro, la considerazione che avevo di me stessa andrà rivista. Posso definirmi una che non dimentica i nomi, per esempio, perché mi sono ricordata nomi in migliaia di occasioni e li ho dimenticati solo in uno o due casi. Ma per la maggior parte delle persone le conversazioni di fine matrimonio si svolgono una volta sola, se va bene. Se scegli di condurre la tua da un cellulare, da un parcheggio di Leeds, allora non puoi certo pretendere che non sia da te, così come Lee Harvey Oswald non poteva certo pretendere che sparare ai presidenti non fosse da lui. A volte basta un gesto per essere giudicati.Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Uno dei libri più brutti che abbia mai letto
Libro che è in grado di alternare ironia e pensieri più profondi sull'essere buoni. Cosa significa realmente essere buoni? Dare tutti noi stessi per gli altri o mantenere un certo distacco col resto del mondo a favore di pochi? Ho trovato la prima metà del romanzo molto scorrevole e piacevole. La seconda metà più lenta e a tratti veramente assurda. Il finale non so se non l'ho capito io, o se è volutamente aperto proprio perché certe domande non hanno risposte. Sicuramente non il miglior romanzo dell'autore ma nemmeno da buttare.
Sicuramente non il miglior racconto di Nick. Parte bene ma non ingrana. Il finale poi... Sconsigliato a chi si approccia all'autore la prima volta.
Recensioni
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“Datemi retta: non sono una persona cattiva. Sono un medico. Una delle ragioni per cui volevo diventare medico era che la ritenevo una buona cosa – sottolineo, buona, più che emozionante o ben retribuita o affascinante.”
Come si può “diventare buoni” e cosa significa? Sarà opportuno “diventare buoni”, o forse è preferibile non esserlo molto? E se buoni lo si è già? Ancora una volta Hornby colpisce nel segno, con ironia dissacrante, e ci dimostra quanta retorica e quanta insensatezza stia dietro a molte delle nostre radicate convinzioni. Cos’è in fondo la bontà? Ed essendo buoni, è possibile non essere al tempo stesso creduloni, ingenui, persino un po’ stupidi?
Il romanzo esordisce con una telefonata tra marito e moglie (David e Katie Carr), una di quelle telefonate pesanti, insopportabili, tipiche di una coppia in crisi che non trova un linguaggio comune, un dialogo sereno, ma che anzi trasforma ogni piccola incomprensione in un motivo di discussione. Hornby tratteggia un uomo e una donna che si conoscono bene, che hanno due figli (Molly e Tom), che non tollerano più i reciproci difetti, che vogliono separarsi, ma che non riescono a fare il passo decisivo e finale in questa direzione. Lei così buona, così generosa per la sua professione di medico (anche se infedele e spesso distaccata) e lui così egoista, nervoso e infelice… finché nella loro vita arriva D. J. BuoneNuove, un miracoloso guaritore terapista alternativo che in un attimo mette fine al mal di schiena decennale di David e all’inguaribile eczema di Molly. È il primo passo di una trasformazione radicale non solo dell’uomo (così beneficamente colpito dal “fluido” di BuoneNuove da far temere alla moglie un tumore al cervello), ma di tutta la famiglia e questa situazione contingente crea un nuovo interesse da parte di Katie nei confronti del marito che porterà a un riavvicinamento su nuove prospettive. David diventa improvvisamente “buono”… sin troppo. Scopre il tradimento della moglie e lo tollera, anzi, lo perdona, chiede continuamente scusa per comportamenti presenti e passati, lascia il suo lavoro di giornalista “cattivo” e la sua rubrica di invettive tenuta sul giornale locale (intitolata L’Uomo Più Arrabbiato di Hollloway), decide di dedicare tempo e danaro per quella grossa fetta dell’umanità più povera e disgraziata. E, soprattutto, decide di ospitare BuoneNuove, sfrattato e senza luogo in cui andare. Questa figura di guaritore-stregone con piercing rivoluziona tutto il ménage familiare, che sarà ancor più scombussolato dall’arrivo di Scimmia, il “loro” senzatetto da ospitare, da Rimba Brian e da tanti altri personaggi usciti da un mondo in cui l’esistenza non è semplice. I problemi della famiglia di Katie e David prima si rimpiccioliscono, quasi si annullano in un panorama più grande di infelicità, poi lentamente riemergono e l’unico modo per superarli sarà, paradossalmente, liberarsi della bontà in eccesso.
Ancora una volta la vena ironica di Hornby colpisce nel segno e fa riflettere senza nessun atteggiamento didascalico. Un romanzo interessante e divertente, anche se non tutti pensano che si tratti dell’opera migliore dell’autore inglese quarantaquattrenne. “Il suo ritratto della famiglia media alle prese con il bello e il brutto della vita coniugale – ha scritto Giuseppe Culicchia su Tuttolibri de La Stampa – per quanto pieno di umanità, pare tuttavia meno sentito rispetto ai romanzi precedenti, scritto più con la testa che col cuore”. Forse è il prezzo da pagare alla maturità, alla consapevolezza, all’esperienza di vita che fa riflettere più con la testa che con il cuore, organo quest’ultimo caratteristico della gioventù.
A cura di Wuz.it
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