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Un commesso viaggiatore è raggiunto contemporaneamente da un colpo di rivoltella sparato da sei metri e da una coltellata a distanza ravvicinata. Il delitto in una stanza chiusa costringe Maigret a trasferirsi sulla Loira (a Sancerre), per indagare. In realtà il defunto si rivela essere un piccolo truffatore, anche se tutti gli altri si dimostrano pure peggiori, tra piccola nobiltà decaduta, borghesi ipocriti e avidi e gente del popolo interessata al puro guadagno, a partire dal micragnoso albergatore. L’antipatia che prova Maigret è chiaramente quella del suo autore e l’ombra grigia non risparmia neppure le ambientazioni, tanto che è difficile dire se è peggio il triste ambiente in cui vivono i Gallet o la villeggiatura a poco prezzo sulle rive della Senna. All’interno della plumbea atmosfera del romanzo, il commissario si muove radunando gl’indizi e le impressioni da cui riesce, a fatica, a ricavare il quadro generale in una conclusione dalla costruzione complessa, ma alla quale si giunge con una trama lineare, guidati dai dialoghi serrati che prendono il sopravvento sulla narrazione. Il profilo del protagonista comincia ormai a delinearsi con decisione, seppure lontano dal Quay de Orfévres e dalla sua casa, cui sono riservati appena una scena ciascuno. Alla fine, naturalmente, l’assassino verrà scoperto e assicurato alla giustizia e Maigret scoprirà anche il movente del gesto efferato. Non è classificabile tra le migliori produzioni di Simenon ma si lascia leggere.
Maigret viene chiamato a Sancerre, dove è stato appena ritrovato il cadavere di Emile Gallet, rappresentante di commercio di Saint-Fargeau, colpito da un proiettile in volto e poi accoltellato al cuore. Indagando, Maigret scopre diverse cose sulla vittima: che non lavorava più nella sua ditta commerciale da 18 anni (senza aver detto niente alla moglie), che la sua vera occupazione era raccogliere denaro truffando vecchi aristocratici francesi nostalgici della monarchia, che il figlio Henry lo odiava in maniera quasi viscerale e lo truffava a sua volta; più altre curiose scoperte che conducono al grande colpo di scena finale.
Questa indagine del commissario sulla morte del rappresentante di articoli da regalo Emile Gallet rispetta tutte le caratteristiche dei Maigret : intrigante,piena di mistero fino a poche pagine dalla fine,pienamente umana ed abrasiva nella descrizione delle meschinità di cui l'uomo è capace,ma comunque desiderosa di continuare a cercare di conoscere l'uomo e capirlo.Come sempre si conclude con Maigret che applica la legge solo nella misura che ritiene necessaria. Semplicemente incredibile come a due capitoli dalla fine Simenon riesca a confutare ogni indizio ed ogni verità, pazientemente raccolta durante tutta l'indagine, dimostrando la loro falsità.Ciò che mi sorprende sempre in ogni Maigret è la capacità di questo poliziotto grande e grosso di immedesimarsi a tal punto nella vita e nello stato mentale delle vittime dei delitti che segue da trascinare il lettore con sè instillando in lui,pagina dopo pagina, un senso di empatia per le battaglie interiori del morto e lasciandoti un senso di struggimento anche dopo aver concluso il libro.In fondo ogni indagine del commissario è un piccolo gioiello di cui comprendi realmente la rara bellezza solo quando è finita .
Recensioni
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SIMENON, GEORGES, La ballerina del Gai-Moulin
SIMENON, GEORGES, Il defunto signor Gallet
recensione di Baricco, A., L'Indice 1994, n. 9
Fa un po' effetto ritrovarsi Maigret in confezione Adelphi; con tutto il processo di santificazione che questo si porta dietro. Sicuramente lui non avrebbe gradito: e avrebbe preferito rimanere per sempre incolonnato nelle cartolibrerie vestito da Oscar Mondadori vecchia maniera, grafica bonaria e quarte di copertina approssimative. Era uno da brasserie, non da ristorantini.
Era uno vecchia maniera, e c'è da credere che lo fosse già a undici anni. Un bambino già nostalgico dei vecchi tempi. Chi ama Maigret ama soprattutto quel borbottìo costante contro il mondo che fila via veloce. Sentimento che, nella testa del commissario, aveva un corollario non insignificante: una compassione istintiva per quelli che, non reggendo la velocità, scendono dal treno: da vittime o da assassini, è uguale, sono solo due modi diversi di scendere.
Sullo sfondo, come si dice, la Francia. E lì ci sapeva fare, Simenon, perché quando descrive un bar di periferia dice tre cose ma quel bar tu lo vedi tutto, e non solo, hai l'impressione di averlo già visto, di esserci stato, servivano il Pernod nei bicchieri con su scritto Evian. Anche il barista, giureresti di averlo conosciuto. Tutto falso, ovviamente, essendo quella una Francia ormai sparita da tempo, eppure quella sorta di 'trompe l'oeil' è inevitabile. Come è inevitabile collocare quelle storie in una vaga pre-contemporaneità che sa di anni cinquanta ma è prima della guerra, dove passano gigantesche DS ma non ci sono i semafori, provate a dire esattamente gli anni: non lo sapete. I due libri qui citati, per dire, sono del 1931: quanti li leggeranno pensando alla Francia che hanno visto vent'anni fa? Quando un mondo diventa mito, il dove e il quando diventano categorie mobili. È un mito, a modo suo, il buon Maigret.
Che forse non sarebbe così famoso se Simenon non avesse avuto, oltre a un certo talento nell'allestire intrecci polizieschi, una penna che si muoveva con una naturalezza assoluta, e una leggerezza istruttiva. A fargli l'editing, non avresti trovato un aggettivo di troppo. Non forzava quasi mai nemmeno quando l'intreccio si infittiva, quando si scopriva il cadavere, quando l'assassino crollava e confessava. Si piazzava su una certa velocità e più o meno lì restava, con rari surplaces e rarissime accelerazioni. Questo dà ai suoi testi (anche quelli non legati alla figura di Maigret), una sorta di poesia sotterranea, una calma da preghiera profana, una calda mezza luce da lampadina 40 candele. Va, la storia, con un passo da deserto immutabile e da sempre già stabilito: se accade qualcosa, ha sempre il sapore dell'evento annunciato. La vita, come la raccontava Simenon, era un dettato, non un componimento a tema libero. E il delitto non era mai una variabile impazzita e imprevista del sistema, ma la coerente tessera di un puzzle complessivo: un gesto obbligato.
Per questo Maigret non punta mai dritto al colpevole, ma preferisce vagabondare per il mondo che ha ospitato il delitto. Sa che le vie di quel mondo disegnano un teorema di cui il colpevole è la soluzione. Tracanna birre, manda telegrammi; telefona dai telefoni pubblici, piglia taxi, salta pranzi; dorme poco, fuma nei momenti più assurdi. Non ha lo humour di Marlowe, n‚ lo stile di Poirot, n‚ il cervello di Sherlock Holmes. Ma ha qualcosa che loro si sognavano: una moglie che gli tiene la roba in caldo. Alla fine, com'è giusto, vince sempre: ma con quell'aria stanca di chi, sotto sotto, pensa che hanno perso tutti. Lui compreso.
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