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Acquistato dopo averne visto la versione cinematografica (molto affascinante e quasi perfettamente aderente al romanzo), ne sono rimasta entusiasta. Romanzo assolutamente imperdibile, sia per il contenuto che per lo stile
Magistrale, come tutto ciò che esce dalla penna di Roth.
Sto leggendo tutta l’opera di Roth che considero uno dei migliori autori degli ultimi decenni e trovo che questo romanzo breve sia folgorante, eccezionale.
Recensioni
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“Le scelte più accidentali, più banali, addirittura più comiche, producono gli esiti più sproporzionati”.
Indignazione è un romanzo breve, che scivola via quasi senza accorgersi, come la vita del protagonista, Marcus Messner, un ragazzo che cerca di diventare uomo mentre l’America è occupata nel conflitto in Corea del 1951.
La storia del diciannovenne del New Jersey è apparentemente semplice: un ragazzo che, per sfuggire dall’oppressione del padre, lascia il suo lavoro in macelleria per iscriversi al Winesburg College in Ohio. Ma grazie al tagliente realismo della scrittura di Roth, semplice, lineare, con un ritmo incessante e una struttura narrativa originale, il racconto diventa qualcosa di più, una storia di inesperienza, resistenza intellettuale, scoperta sessuale ed errore. I temi cari allo scrittore americano ci sono tutti, ma se ne aggiungono due, che hanno il ruolo di miccia e vampata nel racconto: la vulnerabilità e, appunto, l’indignazione.
La prima è quella che mette in moto il piano inclinato fatto di errori, innocui e banali, che trascinano Marcus sempre più in basso. Lentamente Roth ci fa entrare nella sua trappola di empatia per le scelte di un ragazzo qualunque, che scopre e sbaglia, esattamente come qualunque ragazzo. Ma, al momento opportuno, lo scrittore fa scattare il meccanismo mortale in cui, ormai, ci ha ingabbiati insieme al protagonista.
La punizione che Marcus subisce come conseguenza delle sue azioni è sproporzionata, ed è proprio da qui che nasce l’indignazione. Indignazione per l’impatto della storia americana sulla vita di un individuo vulnerabile. Indignazione come unico risultato dell’impotenza contro una guerra che fagocita vite di giovani uomini senza alcuna ricompensa.
Recensione di Alberto Berruto
Si ringrazia il Master Professione Editoria dell'Università Cattolica di Milano
Indignazione è un pugno sferrato allo stomaco del lettore. Romanzo breve, organizzato come una bomba a orologeria. Un Philip Roth assolutamente imperdibile.
Nel 1951 Marcus Messner, figlio di un macellaio kosher del New Jersey, si iscrive al college conservatore di Winesburg, nell’Ohio. Ha frequentato per quasi un anno l’università della sua città, Newark, ma quando il rapporto con il padre ansiogeno diventa per lui insostenibile, decide di prendere le distanze dalla famiglia. Marcus Messner è un ottimo studente, il migliore del suo corso. Lo studio è il suo primo pensiero. Durante il week end lavora come cameriere in un bar vicino al college per non pesare troppo sulle finanze dei suoi genitori. Un bravo ragazzo, Marcus Messner, che ha imparato il valore dell’onestà e del sacrificio lavorando nella macelleria del padre, dopo la scuola, nell’ultimo anno di liceo. Romanzo breve, poco più di centotrenta pagine, organizzato come una bomba a orologeria: sin dalle prime pagine si attende la fine, la tragedia.
Cosa provoca questa aspettativa in noi? Il senso di paura che pervade le pagine del romanzo. La paura si vince con l’intelligenza e con la ragione secondo il filosofo Bertrand Russell, di cui l’ateo Marcus si dichiara adepto. La paura è figlia delle religioni organizzate. Nel college conservatore e tradizionalista di Winesburg Marcus deve sopravvivere a un sistema che non intende lasciar fuori nessuno. Tanto meno chi come lui è dotato di capacità intellettive superiori alla media. Per quanto possa sembrare paradossale, Marcus si trova impossibilitato a rimanere incolume e innoquo ai bordi della comunità.
Avrebbe voluto solo studiare e lavorare.
Avrebbe voluto non entrare in nessuna confraternita.
Non frequentare la chiesa.
Laurearsi in fretta e con il massimo dei voti.
Fare l'amore con una ragazza prima di morire.
Evitare di morire in guerra come tanti suoi coetanei in quel 1951.
E tutto questo grazie a una continua ricerca del perfezionismo e dell’eccellenza personale. La sua resistenza a oltranza e il sistema cannibale entrano però presto in collisione, incapaci di coesistere nella stessa galassia.
Il meccanismo narrativo scelto da Philip Roth, provoca una germinazione di stimoli concettuali sul senso della paura e della morte di cui dicevamo prima. La compressione temporale della vicenda (tutto si svolge in un anno circa) e l'esigua presenza di flashback, non possono che causare una mutilazione del protagonista. È una regia crudele e atroce come una guerra. Ci sono i canoni rothiani: educazione ebraica, la presenza ingombrante della famiglia, il senso di colpa, l'erotismo, la fiducia nella ragione, la denuncia dell'antisemitismo. Ma Marcus non è Alexander Portnoy: non riusciamo a intenerici e a ridere. Questa volta siamo catturati da un senso di indignazione per la sorte di Marcus, un laureato ante litteram, che non vuole piegarsi al sistema e soccombe come un eroe moderno.
Recensione di Francesco Marchetti
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