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«Sì, madre, lo so, l'ho letto nel tuo dossier. Vi addestravano per sensibilizzarvi alle atrocità a cui avreste assistito nei campi di sterminio: e a quelli venivano destinate solo le più dure, le più coriacee. Per questo tu fosti scelta per Birkenau, il campo più selettivo.»
Un libro drammatico, in cui la tensione emotiva è sempre altissima, in cui non succede nulla perché tutto, troppo, è già successo.Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Se un legame non si è mai formato può dirsi indissolubile? La sua irreplicabilita' fa sì, nostro malgrado, che cio' avvenga. La Schneider racconta, con rara sensibilità ma senza ricerca di compassione, quel personalissimo (non) rapporto con chi l'ha messa al mondo, abbandonata e, ancora, respinta. È una vicenda personale in una pagina storica che ho seguito come un invito a tenere a mente che il dualismo oppressi/oppressori, vittime/carnefici è riconducibile all'alveo di un'unica e sola umanità.
Il libro è scritto in maniera puerile ma i contenuti sono fortissimi. In molti hanno scritto dei fatti di cui si parla nel libro, ma questo è un punto di vista diverso e cioè quello della figlia di una militante delle SS impiegata nel servizio di sicurezza dei campi di sterminio, che è stata letteralmente abbandonata dalla madre per partire e rispondere alla chiamata in servizio del regime. Molto toccante e inquietante.
Bellissima testimonianza di una tragedia vissuta da un punto di vista insolito. Molto toccante.
Recensioni
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
"Sì, madre, lo so, l'ho letto nel tuo dossier. Vi addestravano per sensibilizzarvi alle atrocità a cui avreste assistito nei campi di sterminio: e a quelli venivano destinate solo le più dure, le più coriacee.
Per questo tu fosti scelta per Birkenau, il campo più selettivo."
Un libro drammatico, in cui la tensione emotiva è sempre altissima, in cui non succede nulla perché tutto, troppo, è già successo. Protagonista è la memoria: quella di una figlia abbandonata da piccola da una madre unicamente votata alla fede nazista. Ed è memoria di solitudine e di mancanza d'amore, di fame e di paure e, più recente, è il ricordo di un altro, unico incontro con quella madre praticamente sconosciuta, fiera del suo orrendo passato, incapace di vedere il disgusto della figlia al prezioso dono di monili d'oro sottratti agli ebrei e tenuti gelosamente nascosti in un cassetto. La divisa da SS appesa nell'armadio, l'invito ad indossarla, quell'oro tenuto per alcuni momenti in mano, prima di farlo cadere a terra inorridita, il dispetto della madre alle sue reazioni: questo è quanto Helga ha sempre in mente di quel lontano incontro avuto, già adulta, con la donna che aveva lasciato lei di pochi anni e il fratellino minore, un lontano giorno del 1941, per andare a fare la guardiana del campo di sterminio di Birkenau. Ripensa a tutto ciò l'autrice, protagonista del libro, mentre si avvicina al pensionato in cui si trova la madre, ormai vecchissima e non lontana dalla morte. Ha deciso, su invito di un'amica, di andare a rivederla per un'ultima volta, ma questo incontro la sgomenta, la fa stare male fisicamente, eppure sente che è giusto e necessario che avvenga: deve sapere, deve capire se è o sarà mai in grado di vincere l'ambivalente sentimento che prova per quella donna, bisogno e odio, voglia di cancellarla e impossibilità a farlo.
Le ore che passa insieme a quella vecchia, fragile e aggressiva, falsa e arrogante, in alcuni momenti umana e debole, spesso spietata e lontana, sono piene di emozioni quasi insostenibili. Helga vuole sapere, vuole capire: come può un essere umano abbandonare due figli piccoli per inseguire un sogno di morte? come si può assistere agli orrori che si svolgono quotidianamente sotto i propri occhi senza alcun turbamento? come è possibile vedere l'uccisione di migliaia di persone, donne che stringono tra le braccia i figli neonati, vecchi inermi, bambini di pochi anni, senza provare sentimenti di pietà? come può una folle ideologia accecare a tal punto?
Vuole sapere da quella donna, sua madre, tutto ciò che ha visto, che ha vissuto, che ha, o non ha, provato. Per raggiungere questo scopo la incalza con domande, aggira le sue reticenze con l'inganno, insomma vuole capire, a tutti i costi, se è in grado di tagliare definitivamente il legame con lei o se non riuscirà mai a liberarsene del tutto.
Proprio in questa ambivalenza tra ragione e coscienza in lotta contro impulsi profondi e primordiali, tra pietà che emerge davanti alla vecchiaia opposta alla consapevolezza che, nell'apparente debolezza e nella nebbia degli anni trascorsi, nulla è andato cancellato dell'antico male, sta la grandezza del libro e la tragedia di una donna o forse di una nazione.
Questo è un libro della memoria, si diceva, e infatti è anche il ricordo dei campi di concentramento e dei loro orrori, degli esperimenti su cavie umane, del male fine a se stesso che là si praticava, visti attraverso lo sguardo dell'aguzzino, a essere parte integrante di questo Lasciami andare, madre.
La Schneider, che ha rifiutato addirittura la sua lingua in un desiderio di purificazione estremo, ci ha regalato un testo autobiografico drammatico, ma anche un documento storico di fortissimo impatto.
A cura di Wuz.it
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