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“Mastro- Don Gesualdo” è un’Opera meravigliosa, capolavoro del Verismo. Il linguaggio è crudo e diretto, la narrazione dell’Opera è distaccata e questo fa essere il lettore spettatore e per me è stato come sbirciare attraverso la porta del tempo: tra le vie del paese, le strade di campagne, nei campi arati, nelle vigne, nei poderi, alla tavolo con i cibi, le processioni, i proverbi, le usanze, credenze contadine e nobili dell’epoca. Il filo conduttore di tutta l’Opera è la “Roba” (terre e denari) e dalla introduzione trascrivo quanto segue “ in un ambiente dominato da una aristocrazia incolta, inette, fannullona, in preda a una dissoluzione sociale e morale, e da un ceto contadino ignorante, l’imperativo economico è l’unica via praticabile perché corrisponde alle esigenze della lotta per la vita: sottrarsi significa essere patetici e fuori dal tempo come i nobili Trao che adeguarsi significa autodistruggersi”. Il protagonista dell’Opera è Gesualdo un imprenditore terriero che con audacia e determinazione diventa il più ricco del paese tanto che gli verrà offerta in sposa Bianca figlia dei nobili Trao e costui diventerà sua moglie. Dall’introduzione del libro: “ Gesualdo nutre affetto e si comporta con rozza generosità verso la moglie, la figlia e la serva ma quando si tratta del successo economico e sociale la Roba ha il potere di piegare la logica dei sentimenti sviandola in una traiettoria assurda, prepotente ed egoistica.” Nonostante il matrimonio con la nobile l’ ambizione dell’ascesa sociale di Don- Gesualdo sarà un fallimento e si manifesterà con la solitudine in un estraneo palazzo palermitano dove rimpiangerà e invocherà la moglie e la serva.
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