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La morte della patria. La crisi dell'idea di nazione tra Resistenza, antifascismo e Repubblica
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La morte della patria. La crisi dell'idea di nazione tra Resistenza, antifascismo e Repubblica - Ernesto Galli Della Loggia - copertina
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morte della patria. La crisi dell'idea di nazione tra Resistenza, antifascismo e Repubblica

Descrizione


Una lettura, nella chiave della nazione, delle origini della Repubblica italiana, che rimette in discussione, a partire dalla Resistenza, molte valutazioni storiche date finora per intoccabili. Ernesto Galli Della Loggia (Roma, 1942) è ordinario di Storia dei partiti e dei movimenti politici presso la facoltà di Scienze politiche di Perugia. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: "Il mondo contemporaneo", "L'identità italiana", "Intervista sulla destra".
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Dettagli

4
2003
Tascabile
1 gennaio 2003
145 p., Brossura
9788842054948

Valutazioni e recensioni

3,71/5
Recensioni: 4/5
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Enrico Bartoletti
Recensioni: 5/5

Uno dei libri migliori di sempre. Ernesto Galli della Loggia trova il nocciolo della crisi dell'idea di Nazione italiana (e quindi del nazionalismo stesso) soprattutto negli anni della Seconda Guerra Mondiale, ma anche nel successivo dopoguerra. In quelle fasi tale concetto, già fragile nel nostro Paese e meno definito che negli altri Stati, entrò in una crisi che in ultima analisi perdura tuttora. I riferimenti sono precisi, documentati e rigorosi. Soprattutto, il pregio di Ernesto Galli della Loggia è il metodo di ragionamento: essendo uno storico prima che un giornalista, applica all'analisi storiografica il metodo scientifico, come in effetti deve essere; e infatti, i ragionamenti che esprime sono basati sui rapporti di causa ed effetto, rigorosi a tal punto da zampillare limpidi e spontanei dal suo libro. Inoltre, affronta un argomento scottante permettendosi conclusioni davanti alle quali molti storcerebbero il naso, ma sono talmente fondate che non si può non dargli ragione. Voto massimo meritatissimo.

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Recensioni: 5/5

Capolavoro assoluto. Da far leggere nelle scuole se vogliamo avere una speranza di rinascita per il futuro. Nulla di nuovo in termini di contenuti e di responsabilità storiche (viva la sinistra!), ma è sempre soddisfacente ripercorrere i reali motivi che hanno portato l'Italia a diventare (ancor più) un'entità senza identità, senza carattere, senza cultura, tutto in nome di un 'antifascismo' demenziale e distruttivo che è servito solo a imporre la visione del mondo di un'area politica, la stessa che dal dopoguerra a oggi detiene saldamente il monopolio intellettuale e morale di questo paese. Si è visto con che risultati... E pensare che Galli della Loggia non è manco di destra, come qualcuno di sinistra vuole far credere per buttare fango sulle sue opere e sul suo pensiero. D'altronde la delegittimazione di chi la pensa diversamente da loro è sempre stata una costante (chiedere al povero Renzo De Felice, tanto per fare il nome di un altro vessato dai suoi stessi 'compagni'), e nel libro pure quest'aspetto trova spazio in abbondanza.

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francesco
Recensioni: 1/5

credo che neanche almirante si sarebbe mai sognato di scrivere alcune affermazioni sulla resistenza. il bello è che anche storici (non certo di sinistra) come de felice criticano galli della loggia. e lui? non fa che stupirsene! insomma, se credete che la morte della patria sia da imputare ai caduti della resistenza lo consiglio caldamente. E dire che l'ultima parola dei caduti della resistenza è stata "W l'Italia".

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Recensioni

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Voce della critica


recensione di Tranfaglia, N., L'Indice 1996, n. 5
(recensione pubblicata per l'edizione del 1996)

Le tesi che Galli della Loggia sostiene in un pamphlet ricco di citazioni e di invettive, sono almeno in parte condivisibili e condivise proprio da quella storiografia che l'autore definisce, sulla scorta de "Il rosso e il nero" di Renzo De Felice, "vulgata resistenziale" o "storiografia ufficiale" come se i Pavone, i Revelli e i De Luna o anche i Carocci, che egli cita con visibile e gratuito disprezzo, costituissero l'establishment degli storici e lui fosse invece una sorta di outsider escluso dai salotti buoni. Peccato che Galli della Loggia sia pervenuto a una cattedra di storia contemporanea all'Università di Perugia, diriga una rivista come "Liberal" che piace alla destra e alla sinistra e per giunta firmi come editorialista di punta sul più diffuso quotidiano italiano.
Perché parlo di queste cose già note a molti? Perché voglio sottolineare il fatto che, per criticare chi non è d'accordo con lui, Galli della Loggia imita in tutto e per tutto l'atteggiamento abituale dello storico di cui amplifica e accentua le tesi, appunto De Felice. Un atteggiamento vittimista secondo il quale esisterebbe una maggioranza di storici, avversari potenti e "ufficiali" rispetto ai quali è difficile, se non pericoloso, sostenere tesi "revisioniste". Un espediente - mi pare - abbastanza abile per ottenere la benevolenza dei lettori (soprattutto di quelli ignari di come stanno effettivamente le cose) ma che non risponde in nessun modo alla situazione reale.
Ma torniamo alle tesi di Galli della Loggia. Nel suo saggio, egli sostiene che nel periodo drammatico che seguì all'armistizio dell'8 settembre 1943 e vide lo scontro tra i nazisti e i fascisti della Repubblica sociale, da una parte, e dei partigiani e degli alleati angloamericani, dall'altra, vi fu una crisi gravissima dell'idea di nazione o di patria (i due termini, per Galli, sono di fatto sinonimi, ma a me pare che le cose siano più complesse).
Per dimostrarlo, Galli analizza, sulla base di memorie e di studi apparsi negli ultimi decenni e della biografia mussoliniana di Renzo De Felice, lo smarrimento e la disperazione da cui furono presi combattenti e civili in quei venti mesi (cita uno sfogo di Corrado Alvaro assai significativo) e, nello stesso tempo, la prova di confusione, vigliaccheria, incapacità che la monarchia come il governo Badoglio (insomma, la vecchia classe dirigente) diedero di fronte al problema dell'uscita dalla guerra e dello sganciamento politico e militare dai tedeschi.
Fin qui nulla di nuovo, ma neppure di diverso, da quello che si trova nella maggior parte degli studi provenienti appunto dalla "vulgata resistenziale", come la definisce l'autore (comodo, mi sembra, bollare con un solo epiteto sprezzante studiosi che hanno storie e tesi diverse ed evitare di confrontare i testi di ciascuno di loro e misurarsi con essi con precisi argomenti!).
Ma, a questo punto, Galli introduce una variante di rilievo e afferma che quella crisi non fu affrontata n‚ risolta da quella corrotta e incapace classe dirigente guidata da una monarchia compromessa e screditata e da un generale voltagabbana, sicché non di crisi soltanto si può parlare ma di vera e propria "morte della patria".
E a chi gli oppone (o meglio agli storici che gli hanno, per così dire, risposto in anticipo) che quella crisi non venne risolta dal re e dai suoi seguaci, bensì proprio dalle nuove forze politiche che si misero in moto attraverso la lotta di Liberazione e costruirono, con il referendum del 2 giugno e con la costituzione del '48, la democrazia repubblicana, l'autore obietta che quelle forze non ebbero, o comunque non riuscirono a rappresentare, una coscienza nazionale.
O, per essere più precisi e citare testualmente: "Al cuore del patriottismo e dell'ispirazione nazionale della Resistenza stava una non piccola contraddizione: nell'occupante nazista e nel suo alleato fascista essa combatteva il nemico della nazione italiana, al tempo stesso non poteva n‚ voleva a nessun costo identificarsi, e anzi non celava la propria ostilità, verso lo Stato che tuttavia rappresentava lo Stato italiano e la cui autorità formale - culmine dei paradossi - essa Resistenza alla fine sarebbe stata costretta a riconoscere avendo per giunta quello Stato dichiarato guerra esso pure a nazisti e fascisti".
Confesso di non capire la logica del ragionamento, proprio dal punto di vista storico. A noi, cinquant'anni dopo che i fatti sono avvenuti, non spetta esaltare le contraddizioni secondarie presenti nei protagonisti, ma identificare quelli che furono gli effetti principali delle azioni compiute dai vari attori.
Da questo punto di vista, non c'è dubbio che, attraverso la guerra civile del '43-45 e la vittoria della Resistenza e degli alleati (ambedue vinsero - ricordiamolo - anche se con un peso militare e politico diverso), fu sconfitta e messa da parte l'idea di nazione che il fascismo aveva cercato di inculcare negli italiani e che li aveva portati a una guerra disastrosa e, al posto di essa, si affermò una nuova e diversa idea di nazione, legata alla democrazia e alle idee-forza della costituzione repubblicana, voluta insieme dalle maggiori forze (democristiani, comunisti, socialisti) uscite dalla catastrofe e dal conflitto.
Certo, altre ideologie (anche internazionaliste) ebbero gran peso nel primo cinquantennio repubblicano, ideologie che non avevano al centro la questione nazionale ma questo non ha ucciso, mi pare, quell'idea di nazione, se oggi si può ascoltare un ex comunista come Antonio Bassolino, sindaco di Napoli ed esponente dell'Ulivo, parlare apertamente di patria e di nazione. Bassolino non è il solo a parlare di nazione: la discussione politica e culturale degli ultimi anni mostra che di quel problema si parla come di cosa viva, non morta. Anche se la nostra - come recita il titolo di un libro recente di Giuseppe Galasso - è sempre stata una "nazione difficile".
Che senso ha fermare la nostra storia a cinquant'anni fa, giudicare inutile o inesistente una costruzione democratica, per quanto imperfetta e contraddittoria, decretare con l'astrattezza delle formule, queste sì "ideologiche", che la patria è morta e non c'è più nulla da fare?

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Conosci l'autore

Ernesto Galli Della Loggia

1942, Roma

Studia a Roma presso l'Università La Sapienza e nel 1966 si laurea in Scienze Politiche. A Torino, dove svolge l'attività di ricercatore presso la Fondazione Einaudi, approfondisce la tematica del rapporto tra banca e industria nello sviluppo economico italiano. Dal 1972 al 1975 insegna Storia Economica Italiana presso la facoltà di Scienze Economiche e Bancarie dell'Università di Siena. Nel 1987 è nominato professore di Storia dei Partiti e Movimenti Politici presso la facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Perugia. Nel 1978 è membro della direzione di "Mondoperaio" e tra il 1984 e il 1985 dirige il mensile "Pagina". Nel 1990 entra nel Consiglio direttivo della Società Italiana per lo Studio della Storia Contemporanea...

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