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Dopo il romanzo “Acquadolce”, la scrittrice di origini nigeriane Akwaeke Emezi ritorna in libreria con “La morte di Vivek”, tradotto da Benedetta Dazzi e recentemente pubblicato dalla casa editrice Il Saggiatore. A dare il nome al libro è proprio il protagonista Vivek, figlio di Kavita e Chika e nipote di Ahunna, morta lo stesso giorno della sua nascita. Pagina dopo pagina, l’autrice ci narra le paure, i sogni e le aspettative di Kavita, ella infatti sogna per il suo unico figlio un futuro promettente in America; Vivek però ha altri piani e decide perciò di continuare la sua istruzione in madrepatria, in Nigeria. Tra riunioni delle Nigerwives, incomprensioni, nuove scoperte e tumulti interiori, Vivek dovrà affrontare l’ostilità di una comunità integralista e religiosa dove non si riconosce la fluidità di genere e si combatte ogni diversità con orribili esorcismi. Attraverso due voci narranti e numerosi salti temporali, il romanzo ci descrive, anche con alcuni richiami autobiografici, la mitologia Igbo e la cultura nigeriana. Con uno stile vivido e profondamente toccante, Akwaeke Emezi ci regala un romanzo delicato e allo stesso tempo doloroso dove superstizioni ancestrali, credenze religiose e fanatismo si fondono in una narrazione scorrevole, coinvolgente e attuale.
Emozionante, lo stile di scrittura poetico e coinvolgente, fa quasi male al cuore. Una storia che parla di lutto, di accettazione, di taboo, di identità. La narrazione, altrimenti carica e struggente, viene diluita in un paio di capitoli che si concentrano su personaggi minori verso la metà del libro, ma resta incredibilmente valida.
Mi era già piaciuta con Acquadolce, ma con La morte di Vivek si è superata. La letteratura africana è dinamica, vivace, originale, e la Emezi è uno dei giovani esponenti più interessanti. Ha il grande dono di saper raccontare le emozioni.
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