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Anno edizione: 2010
Anno edizione: 2009
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“Il sarto di Ulm” è un saggio di orizzonti ampissimi, scritto con rigore, con una distanza critica e autocritica impeccabile da cui traspare passione politica. Dico passione, non emozione: il saggio è asciutto, documentato e con molti rimandi. “Il lungo sessantotto italiano” non è solo un capitolo, ma è uno spirito che aleggia in molta parte del lavoro. Lo sottolineo per quanti, come me hanno vissuto questa esperienza. L’emozione che non era presente nel rigore documentale irrompe alla pagina 387 con un privato doloroso: la morte della moglie Mara a cui aveva promesso di terminare il libro. Il saggio è un testamento politico che, dopo la sua morte nel 2011, ha incontrato una vendita incredibile e ha consentito a molte persone di approfondire, ripensare, sperare. Un saggio possente di 450 pagine il cui indice articolato pilota il lettore e, vi assicuro, non accade in tutte le pubblicazioni. Desidero sottolineare due aspetti di questo libro. L’attenzione colta e documentata sull’aspetto economico e sul lavoro. Lucio Magri ha fatto parte della “commissione di massa” del PCI, in via delle Botteghe Oscure, nei primi anni sessanta. Riesce a “vedere oltre”, infatti se pensiamo che il libro risale al 2009 e si intravede un mutamento dell’organizzazione del lavoro, non dico il modello Amazon, ma molto vicino, credo proprio che Magri avesse grandi maestri e una visione profetica del mondo. Il secondo aspetto è dato dalla grande capacità narrativa. Uno “scavo” continuo che si arrotola e ti arrotola e non ti fa lasciare la narrazione fino alla fine. “Questo stile esprime infatti una forma peculiare di rigore, fondata su una vera e propria “disciplina della memoria”, che consente a Magri di coniugare in modo originale, senza compiere alcuna forzatura, il carattere soggettivo della sua autobio-grafia politico-intellettuale con l’oggettività di una ricostruzione storica robustamente documentata.” (Eros Barone). Grazie, Lucio
Probabilmente la "cattiva fama" dell'autore ha influenzato in negativo la lettura del libro. Magri era un comunista sui generis: amava frequentare gli ambienti dorati della Milano Bene fino ad arrivare ad avere una relazione decennale con Marta Marzotto (che, poi, con ironia dissacrante, definì lo stesso Magri un "comunista da salotto"). Non discuto il valore dell'opera in se stessa (ovvero una rilettura puntuale e ricca di curiosità di oltre quarant'anni di storia del PCI), quanto la veridicità e l'autenticità dell'ortodossia magriana.
Lucidissima analisi della storia del PCI dal dopoguerra fino al 1989, anno del suo dissolvimento. L'autore si pone dei capitali quesiti cui cerca, di volta in volta, di dare una risposta plausibile: perchè la svolta degli anni '80 non è avvenuta un decennio prima? Per una mancata interpretazione dei fatti politico-sociali che avvenivano intorno o perchè la fine del PCI è accaduta precipitosamente, quasi come in una convulsa smania di “nuovismo” a tutti i costi? Il retaggio politico e, soprattutto, civile di una grande forza democratica, costruita da Togliatti e demolita da Occhetto, si è perso, scomparso in mille rivoli. Il cambiamento di nome, d'identità è stato vissuto come un vulnus morale dall'autore che rivendica la giustezza di gran parte delle posizioni politiche del partito comunista.
Recensioni
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