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L'odissea durissima, spietata e incredibilmente coraggiosa dei partigiani ebrei che combatterono contro l'inumana follia nazifascista. Il grandissimo Levi trasmette, in questo romanzo indimenticabile, alcuni dei valori guida fondamentali per ogni essere umano. Se non ora, quando deciderò? Se non io per me, chi per me? Se non do valore, gioia, ORA , in questo preciso attimo presente, che mai più esisterà, alla mia vita, quando lo farò? Levi riesce, con una narrazione che si incide profondamente al centro dell'esistenza , a rendere epica una lotta di liberazione dal male ( esterno ed interno) ; un cimento che non è mai finito e che dobbiamo accettare per diventare veri esseri umani.
una umanità variegata e dolente si lascia alle spalle famiglie,amori e case distrutte dalla violenza nazifascista e si fa strada attraverso l’europa con le armi in pugno, precedendo la linea del fronte in cerca di un possibile nuovo inizio in una terra di latte e miele, la Palestina. È un racconto potente ed umano della vita di persone con alle spalle un passato assai diverso e doloroso e un futuro da costruire partendo dalla loro amicizia
Prendendo spunto dal racconto di un testimone, Primo Levi scrive dell'avventura di un gruppo di partigiani. Una "banda" variegata, composta da ebrei, russi, polacchi, ucraini che, dal cuore dell'Unione Sovietica viaggiano, per lo più a piedi, fino alla Milano appena liberata dall'occupazione nazifascista. Durante il loro viaggio, si imbattono e liberano un Lager nazista. A questo punto, viene naturale porsi una domanda: se i partigiani erano a conoscenza dell'esistenza di questi luoghi di detenzione, tortura e morte, perché si è preferito fare finta di niente fino alla scoperta, il 27 gennaio del 1945, da parte dell'Armata Rossa, del campo di concentramento di Auschwitz? "- Avviciniamoci, - disse Gedale: l'anfiteatro collinoso intorno al Lager era coperto di boscaglia, e lo si poteva fare senza pericolo. Discesero cautamente; trovarono uno sbarramento di filo spinato rugginoso, lo seguirono per un tratto e videro una garitta di tavole. La porta era aperta, e dentro non c'era nessuno: - Solo mozziconi di sigarette, - disse Mottel che era entrato a vedere. Non fu difficile recidere il filo spinato; i sei ripresero a discendere, ma si fermarono impietriti: il vento aveva girato, il fumo veniva verso di loro, e tutti allo stesso istante ne avevano percepito l'odore, che era di carne bruciata. - È finito tutto. Siamo arrivati troppo tardi, - disse Gedale. Dal punto di vista che avevano raggiunto si distinguevano meglio i dettagli: la colonna di fumo proveniva da una catasta, intorno alla quale si affaccendavano uomini, non molti, forse una decina. Mendel lasciò scivolare a terra il mitragliatore che stringeva in mano, e lui stesso si lasciò andare a sedere in mezzo ai cespugli. Si sentiva oppresso da un'ondata di stanchezza quale non ricordava di avere provata mai. Stanchezza di mille anni, e insieme nausea, collera e orrore. Collera nascosta e sopraffatta dall'orrore. Collera impotente, gelata, senza più un fuoco da cui attingere calore e voglia di resistere".
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