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Calenda, l’Ulisse all’incontrario e il miraggio del facile profitto
Il gatto e la volpe sono vivi e vegeti, Lucignolo non è mai andato in pensione e i megaparcheggi del paese dei balocchi sono sempre zeppi di pullman, dai quali scendono, sempre più motivati, impiegati decisi a cambiare la loro esistenza, ma anche membri blasonati di patinate società sportive e non, riservatissimi ed ingessati amministratori di patrimoni talvolta incalcolabili e – decisamente meno abbottonate ed immobili – ricche signore annoiate ed attratte dal rischio.
Accomunati dal desiderio di creare o incrementare il proprio gruzzolo – perché si sa, «zucchero non guasta bevanda» o per chi preferisce il latino o ha necessità di darsi, comunque, un tono «pecunia non olet»– si lasciano ammaliare da ammiccanti proposte di guadagno e, per questo, non esitano a prendere stabile residenza lì dove la ricchezza sembra proprio a portata di mano, il lavoro è un’eresia e la lealtà roba da damerini.
Con i “mercati decisi a darci finalmente una mano”, la ruota, infatti, gira che è un piacere ed i guadagni, tanti guadagni, arrivano una, due, dieci volte e anche di più, fino a quando la frizzante emozione comincia ad evaporare, le luminarie si spengono di botto e la cruda realtà, l’unica priva di edulcorazioni, si riprende il posto che le spetta. Qualcuno, addirittura, rimane a testa in giù sull’ottovolante e non sa come scendere: è l’anno del Signore 2008.
Liberamente ispirato a una storia vera – nella quale, ammette, Calenda è rimasto «coinvolto in prima persona» – I soldi sono tutto (361 pagine, 19 euro) di Fabio Calenda, edito da Mondadori, ci parla, oltre che di una truffa finanziaria, di quei fatidici anni nei quali mercati dopati e fuori controllo diedero anche all’ubiquo uomo della strada la sensazione che la finanza potesse essere governata a proprio piacimento e che strumenti altamente tossici potessero svolgere, a richiesta, ora le funzioni di un salvadanaio, ora quelle di un bancomat sempre aperto.
Qui è Gianni Alecci, manager al capolinea e frustrato coniuge di una donna ricca, nonché sgangherato padre di due ragazzi – con i quali, per diverse ragioni, ha dei pessimi rapporti – a leggere nel fortuito incontro con un suo vecchio compagno di scuola quella opportunità attesa da anni per rifarsi il trucco e indossare, finalmente, l’agognata e scintillante livrea dell’uomo di successo.
Ed è lui che, dopo l’atteso sparo dello starter, si dedica anima e corpo a una nuova attività e – per rimanere fedeli alla metafora collodiana – organizza, realizzando margini stellari, viaggi nel paese dell’alta finanza, illuminato notte e giorno da ottimi e, manco a dirlo, incredibili rendimenti.
In poco tempo i margini e la stima degli altri sfrecciano verso l’alto come missili, il prestigio è ai massimi storici, i soldi non si contano più e la sua fama sembra propagarsi come un virus, sì da confermargli che sì, i soldi sono davvero tutto.
Tutto magicamente bello, allora, se non fosse per quel maledetto 2008; se non fosse per la crisi dei subprime, con le case che si perdono come i mazzi di chiavi e se non fosse per i tanti castelli di carta costruiti da persone senza scrupoli.
Da questo momento in poi, niente sarà come prima e ben altri valori si ricandideranno per riprendersi il posto che meritano. Non tutti saranno in grado di capirlo.
I soldi sono tutto di Fabio Calenda è un romanzo ambientato in un periodo topico per le economie di tutto il mondo, nel quale accaddero fatti seccamente smentiti da ogni previsione («too big to fail»: mai mantra fu più mendace). Ma il libro è anche uno sguardo partecipato (e a tratti persino sofferto) su uomini che si lasciano attrarre dall’eterno miraggio della ricchezza e del facile profitto e, dunque, sulle loro evidenti debolezze e meschinità.
In un crescendo che sembra non avere fine, il protagonista di questo racconto sulla vita vera, più che sulla finanza finta – Alecci è una sorta di Ulisse all’incontrario – si allontana inesorabilmente da casa per correre a perdifiato verso la sua stessa, più che probabile, fine, senza mai sapere se, al minimo intoppo, avrà, o meno, un’ultima chance e se il suo è soltanto un viaggio inutile verso una meta fallace.
Recensione di Camillo Scaduto
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