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Secondo libro della saga "Roma caput mundi". È un romanzo storico ambientato nel IV secolo dopo Cristo, quando Costantino, neoconvertito al cristianesimo e sostenitore dell'apertura dell'esercito ai barbari, contende al cognato Licinio il dominio su tutto l'Impero, sia sulla parte occidentale che quella orientale. Licinio, campione della tradizione e del politeismo, avrà dalla sua parte il pretoriano Sesto Martiniano, sposo della cristiana Minervina, già concubina di Costantino e madre del primo figlio di questi, Crispo. L'opera si snoda in un susseguirsi di scontri, battaglie, guerre, intrighi politici e di corte. Si contendono la scena, oltre ai citati personaggi, anche Elena, madre di Costantino, Osio, vescovo e consigliere dell'imperatore, Flavia, moglie di Costantino, Costanza, sorellastra di Costantino e moglie di Licinio. Un libro molto ben documentato, che aiuta ad immergersi in quella lontana epoca storica, caratterizzata prima dallo scontro tra tradizionalisti politeisti e cristiani e poi tra cristiani trinitari e cristiani ariani. Un libro adatto agli amanti dell'antica Roma.
Così come per il primo libro della serie anche questo è un'altro gran bel libro di Frediani, battaglie sempre coinvolgenti così come la descrizione del periodo storico in cui si ambienta l'avventura. Secondo me poi Frediani è un maestro nel farti immedesimare nei successi, e ancor più nelle disgrazie e nelle disavventure, dei vari protagonisti del racconto.
Frediani è un vero maestro nel raccontare la Roma Antica. Il massimo poi lo raggiunge quando l'azione prende il sopravvento. Sono pochi gli autori che riescono a descrivere scene di battaglie con tanta lucidità e maestria. Una lettura piacevolissima, ma anche molto illuminante sulla storia del cristianesimo.
Recensioni
Il romanzo del nuovo impero. Un autore da oltre 1 milione di copie.
«Frediani è un grande narratore di battaglie.» -
Corrado Augias
“L’Urbe rappresentava il passato, città come Bisanzio il futuro. Come Sesto Martiniano: quell’uomo rappresentava tutto ciò che era condannato all’estinzione. Spettava a lui, Costantino, evitare che quell’estinzione minasse sul nascere la costruzione di un nuovo mondo, più solido e duraturo. (…) Stava salvando e ricostruendo l’Impero Romano ma Roma era la sua peggior nemica, così come lo era Sesto Martiniano: più ancora di Licinio, perché incarnava in tutto e per tutto lo spirito dell’Urbe antica, decadente, ormai patetica nei suoi sforzi di volersi ancora ergere a capitale di un Impero che l’aveva dimenticata, accantonata, messa a riposo.”
Per gli storici di tutto il mondo la figura di Costantino rappresenta una difficilissima sfida.
L’ambiguità dei suoi gesti e la scarsa qualità storiografica lo rendono ammantato da una insidiosissima coltre di contraddizioni. Imperatore cristianissimo ma fervente alleato dell’arianesimo e contemporaneamente massima autorità religiosa pagana. Fondatore di città e distruttore, salvatore dell’integrità dell’Impero ma anche il più grande nemico delle tradizioni istituzionali. Santo e diavolo anche e soprattutto per un romanziere.
Quest’opera però non è una celebrazione né una condanna del campione di Eusebio di Cesarea. Lo sfondo è quello della lotta col coltello tra Costantino e Licinio per il dominio di Roma, ma il protagonista è qualcun altro: Sesto Martiniano. Ex pretoriano, valoroso, innamorato ed illuso. Ma soprattutto sempre sconfitto. Un perdente desideroso di salvare le sorti della propria famiglia e perciò pronto a diventare un campione di coraggio e lealtà sempre per la fazione sbagliata. Prima per Massenzio, partecipando alla sua disfatta sul Ponte Milvio, poi per Licinio.
Frediani non si preoccupa affatto dell’introspezione psicologica di un grande protagonista della storia, come per i romanzi storici di Graves o di Vidal. Il grande imperatore romano rimane sullo sfondo, autentico antagonista, campione di pragmatismo e di realpolitik. Perché Sesto Martiniano è proprio questo per l’autore: l’ultimo difensore delle tradizioni autenticamente romane e destinato per questo alla inesorabile sconfitta.
Una disfatta cosciente e per questo eroica di fronte ai tempi che cambiano. L’ultimo Cesare fieramente pagano, investito di stoicismo e mos maiorum augusteo. La guerra civile, il conflitto più sincero di tutti secondo Canfora, viene rielaborata non più soltanto per una questione di mero potere politico ma interpretata verso una vera e propria lotta culturale. Licinio appare come una semplice comparsa rispetto al vero nemico di Costantino, l’ultimo difensore del Principato inteso come Senatus Populusque Romanus. L’autore costruisce questa contrapposizione mediante una efficacissima narrazione corale che abbraccia una pluralità di personaggi funzionali ed accattivanti.
Il nodo conflittuale è sussurrato e acquista potenza solo con l’evoluzione degli eventi. Nel mentre viene offerta una visione globale tra le due fazioni, toccando i problemi caratteristici del basso impero quali gli scismi cristiani continui e le migrazioni barbariche. Non mancano alcune forzature che potrebbero di certo far storcere il naso agli appassionati di storia più attenti, ma son comunque ben giustificate dall’autore nella sua postfazione.
In definitiva dunque siamo di fronte al romanzo più maturo di Frediani sia dal punto di vista stilistico che strutturale, soprattutto grazie alla re interpretazione di un Sesto Martiniano tanto credibile quanto eroicamente nostalgico. Perché in fondo è il seme dell’irrimediabile sconfitta che affascina il lettore da sempre.
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