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Prosa intensa e coinvolgente, attraverso descrizioni mai banali, ma trovo che il protagonista rimane troppo vittima di se stesso, dei suoi sensi di colpa anche se il viaggio interiore. è interessante.
La crudezza delle storia, raccontata in tutta la sua verità alla figlia in coma, trova la sua compensazione nella delicatezza di quel momento disperato che accompagna il lettore dalla prima all'ultima pagina. Uno degli espedienti letterari più belli che potesse scegliere la sempre brava Mazzantini.
Con questo libro straordinario la Mazzantini mette a nudo le fratture emotive di Timoteo, lasciandoci liberi di individuare il momento in cui c’è stato l’urto, la caduta, la vertigine, l’oblio. Timoteo è un medico affermato con una moglie bella e colta, una figlia adolescente e un segreto che per molto tempo ha scavato dentro ed è andato oltre, fino a spostare tutto. L’uomo, in una confessione intima che ha il sapore di una catarsi, racconta alla figlia Angela, operata d’urgenza nello stesso ospedale in cui lui lavora, il primo incontro, violento e brutale, con Italia. Quell’abuso è il limite superato, una via di fuga inattesa. Così, mentre Timoteo attraversa il corpo di Italia, inizia un viaggio dentro e fuori di sé che lo riporterà alle origini, dove tutto ha avuto inizio. L’uomo infierisce su quel corpo arrendevole, maneggia senza cura quell’anima senza confini, per non ammettere che è proprio lì, fra il degrado e le baracche di periferia, che la sua mente si annulla e il resto gira a vuoto, come se non esistesse. Non ti muovere è un’invocazione: ad Angela, perché resti dov’è, attaccata alla vita; a Italia, uno spazio vuoto che fa eco dentro. Ma è, soprattutto, un’invocazione al padre che, andandosene di casa tanti anni prima, per scrollarsi di dosso l’odore e la polvere della casa popolare in cui abitavano, ha costretto Timoteo a costruirsi una vita che fosse l’evidenza di una separazione netta col passato. Ora, in quella vita fatta su misura, Timoteo non si riconosce più. Ogni volta in cui torna da Italia dimostra a se stesso e a quel padre piccolo piccolo che la miseria può essere una condizione da cui fuggire, sì, ma anche qualcosa a cui tornare perché è proprio lì, fra pareti scrostate e zanzariere che cedono sotto i colpi del suo corpo, affamato di vita e di pietà, che qualcosa, dentro, si muove. E così, basta un’esile figura di donna, che in quella condizione ci vive da sempre, a spostare tutto e a sublimare la miseria fino a renderla indispensabile.
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Premio Strega 2002.
"Stavo così, sprofondato nel silenzio della vita riconosciuta. Qui ero un uomo libero, non avevo bisogno di nascondermi. La gente mi conosceva, mia moglie, mio suocero, tutti mi conoscevano. Eppure ora mi sembrava fosse questa la vita parallela, non l'altra."
Un lungo monologo, una confessione, un momento di sincerità profondo e il peso di una attesa angosciante davanti a una sala operatoria: stesa sul lettino una ragazza, la morte sembra incalzarla, la sua testa è aperta sotto le mani dei chirurghi, dei ferri cercano di impedire che se ne vada per sempre. Chi parla e costruisce, con i suoi pensieri, il romanzo, è il padre.
Viene data la scansione dell'attesa, da quando smarrita, un'infermiera capisce che quella ragazzina trasportata in pessime condizioni dopo un incidente in motorino è la figlia del primario dell'ospedale, alle varie fasi dell'intervento, alle notizie conclusive, terminato il lungo intervento. La madre, una giornalista brillante, è in volo per Londra, sarà in quella città che avrà la drammatica notizia dell'incidente, riprenderà immediatamente un volo di ritorno, ma le lunghe ore davanti alla sala operatoria saranno vissute dal padre in assoluta solitudine. Ed è proprio questa condizione che, sospendendolo tra la disperazione, l'angoscia, e il rimorso, aprirà la strada a un affondo su di sé, a un penetrare con il bisturi del ricordo nella propria coscienza e nel male che, con l'egoismo dell'uomo arrivato e sicuro, ha saputo distribuire. C'è un'altra figura femminile che viene ricostruita dalle parole e dai pensieri dell'uomo ed è forse la vera protagonista del romanzo: è Italia, è stata una sua amante, una sua vittima. Poco attraente, volgare nel trucco e nella miseria dei vestiti aveva però, fin dal primo casuale incontro, suscitato in lui un'attrazione fisica inspiegabile, tale da portarlo a una vera e propria violenza nei suoi confronti. Ma superata la vergogna del gesto (soprattutto avendo capito che non ne sarebbe derivato uno scandalo) in lui si fa impetuoso il desiderio di tornare nella casa sporca e miserabile in cui la donna abitava, sente la voglia di possederla ancora una volta, e ancora un'altra, sempre più spesso, sempre con maggior passione... Una specie di ossessione che in tanti momenti cruciali prende la forma di amore. Ma è un sentimento a cui il chirurgo non permette (fino a quando è troppo tardi) di incidere nella serenità del suo quotidiano benessere: il prestigio sociale, una bella casa, le vacanze, la moglie intelligente e raffinata, infine l'annuncio di una paternità. Anche Italia si scopre incinta, ma sa di non potersi consentire quella maternità, così, per debolezza, per ignoranza, per paura, si affida alle cure delle uniche persone con cui ha un rapporto, gli zingari accampati vicino a casa sua. Il tragico epilogo della vita di quella donna brutta e generosa non è che la conseguenza di tante sconfitte e di tanti rifiuti. L'affermato chirurgo che ha capito troppo tardi di amarla davvero rientra, dopo quell'evento tragico, negli schemi di una vita di successo, scoprendo dal primo momento che ritorna a casa, reduce da un dolore che non può neppure confessare, la tenerezza per la piccola Angela, che ora, dopo quindici anni, sta forse morendo nella stanza accanto. L'impotenza davanti al destino, i sensi di colpa, anche un certo disgusto di sé che l'uomo prova in quelle lunghe drammatiche ore, gli consentono solo una preghiera: "non ti muovere", scongiura guardando la porta della sala operatoria da cui la sua bambina forse sta fuggendo per sempre.
Margaret Mazzantini è riuscita a penetrare nei meandri di una coscienza maschile, è stata in grado di capire i meccanismi di violenza e di autocommiserazione che un uomo può mettere in campo per difendersi da una verità scomoda, ha saputo anche interpretare, con grande sensibilità, la sconvolgente caduta di difese, l'uscita dall'ipocrisia, la nuova consapevolezza che, da un trauma, un individuo può conquistare. E, senza operare giudizi, se non quelli che lo stesso protagonista dà di sé, emerge una pietà infinita per tutti coloro che vivono e amano, che si dibattono tra menzogna e verità, che non possono sfuggire ai momenti cruciali, discriminanti, della vita. Davanti a ogni perdita, davanti a ogni amore che finisce, c'è la possibilità di rassegnarsi e di continuare: questo non vale però, così almeno ci fa capire la scrittrice, se in gioco è la vita di un figlio.
A cura di Wuz.it
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