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Torino, Einaudi, 1990, 8vo brossura originale con copertina illustrata, pp. VI-161. Non comune ma di grande interesse
recensione di Pasero, N., L'Indice 1991, n. 5
La critica bachtiniana ci ha abituato a interpretazioni univoche e totalizzanti dell'opera dello studioso russo, a seconda delle prospettive e delle predilezioni dei singoli autori. Risulta quindi tanto più gradita, e soprattutto tanto più praticabile - in un senso brechtiano del termine: utilizzabile per la prassi critica - l'introduzione dichiaratamente descrittiva all'opera di Bachtin offerta dal volume di Tzvetan Todorov.
La praticabilità di quest'opera discende in buona parte dall'opzione dichiarata di operare per nuclei tematici, seguendo lo sviluppo di alcuni grandi motivi in un'attività che si caratterizza - con le parole dello stesso Bachtin - per un'"unità nella diversità", mantenuta attraverso decenni. L'articolazione tematica è preceduta da un conciso capitolo biografico, oggi da integrare con l'importante monografia di Michael Holqvist e Katerina Clark, ma comunque molto informato ed equilibrato, soprattutto per ciò che riguarda l''affaire' delle opere pubblicate ne gli anni venti sotto i nomi di Medvedev e Volosinov, la cui eventuale paternità bachtiniana è tuttora oggetto di discussione da parte della critica. La prima categoria che viene affrontata nel seguito è quella "epistemologia delle scienze umane" (cap. II), in cui trova fondamento una distinzione basilare per l'approccio bachtiniano alla letteratura e alle attività discorsive in generale: tali scienze difatti, diversamente da quelle naturali e dalle teorie critiche che aspirano a modellarsi su di esse (incluso un certo strutturalismo e un certo formalismo), le quali tutte si rivolgono ad oggetti, hanno a che fare con dei soggetti. Ne discende un approccio fondamentalmente "translinguistico" al linguaggio e alla letteratura: collocandosi al crocevia fra antropologia e sociologia, tale posizione - in definitiva una pragmatica - si inserisce in modo originale nella discussione delle "grandi opzioni" (cap. III) con cui si confronta la scienza della letteratura, quali la dialettica di forma e contenuto e quella di socialità e individualità. Alla base della critica che Bachtin - per Todorov non tanto un antiformalista, quanto un "postformalista" (p. 60) - rivolge al formalismo, ma anche ai modelli meramente comunicativi del linguaggio sta il rifiuto di considerare separatamente tali categorie. Ma ciò che gli preme soprattutto è la seconda delle due contraddizioni, quella fra individuale e sociale: per tutto l'arco della sua opera è centrale l'assunto che il senso implica sempre la socialità, dato che perfino l'enunciato più solipsistico richiede una controparte e sollecita implicitamente una risposta. Parte da qui un altro 'Leitmotiv' bachtiniano, su cui Todorov ritornerà nel suo capitolo conclusivo, discutendo dell'"antropologia filosofica" del pensatore russo: una teoria dell'alterità, il cui nucleo teorico va ricercato nel concetto di 'vnenachodimost'' (essotopia, extralocalità: "trovarsi fuori nel tempo, nello spazio, nella cultura rispetto a ciò che si vuole creativamente comprendere") e la cui estrinsecazione più tangibile (enfatizzata nel sottotitolo del volume) è rappresentata dal tramite fondamentale per cui l'Io e l'Altro entrano in rapporto: il dialogo, in tutte le sue forme e reificazioni, non ultimo l'importante dialogo dei soggetti attraverso i testi, nella pratica letteraria dell'intertestualità (cap. V). Ma se l'attività dei soggetti si realizza sempre come interattività dialogica, essa può essere realmente operante solo nella situazione da Todorov definita come "eterologia", in presenza cioè d'una pluralità di voci e di parlanti. Pertiene a questo campo concettuale la citatissima "polifonia" bachtiniana, un termine di applicazione letteraria, le cui implicazioni politiche nascoste sono ben percepibili: il "monologismo", l'unitarietà forzata dei discorsi, delle idee, dei punti di vista conduce alla stasi del dialogo, quindi alla morte della comunicazione e dell'attività sociale e individuale. La dialettica monologico-dialogico innerva anche il modo in cui Bachtin affronta le grandi questioni della storia letteraria (cap. VI), sia nelle monografie su Rabelais e Dostoevskij, sia nei grandi saggi teorici sul romanzo: la supremazia della linea "polifonica", quale si incarna appunto nella narratività romanzesca, rispetto a quella "monologica" dell'epos, discende in ultima analisi dal suo costante ribadire l'essenza dialogica di tutte le forme di espressione umana.
Resterebbe ancora parecchio da riferire sul volume di Todorov, conciso ma molto denso (vi risulta forse un po' sacrificato solo il Bachtin della cultura carnevalesca, per altro il più recepito dalla critica nella sua prima fase). Ma basterà in questa sede, sottolinearne il merito di offrire rispetto a tante letture monologizzanti, una visione equilibrata ed oggettiva del grande critico russo: il che, per un'opera che si propone esplicitamente di "rendere Bachtin leggibile" (p. 8), è quanto di meglio si possa desiderare.
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