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Le poesie - Tommaso Campanella - copertina
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Le poesie
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1998
676 p.
9788806142445

Voce della critica


recensioni di Zandrino L'Indice del 1999, n. 05

Studioso della classicità latina, soprattutto di Lucrezio e Seneca, Francesco Giancotti porta a compimento, con l’edizione einaudiana di tutte le poesie oggi note, la sua ricerca sulla lirica di Campanella iniziata nel 1948, quando fu ammesso all’Istituto italiano per gli studi filosofici fondato da Benedetto Croce, interrotta poi nel ’52 e ripresa in anni recenti.

Concorrono alla costituzione di questa impeccabile edizione critica i colloqui tra Croce e Giancotti. Sono fondamentali per questa edizione criticamente riveduta la consultazione, in quegli anni, dell’esemplare dell’editio princeps della Scelta d’alcune poesie filosofiche di Settimontano Squilla cavate da’ suo’ libri detti La Cantica. Con l’Esposizione, Francoforte, 1622, donato a Croce dall’amico De Marinis, e soprattutto l’esame dell’unico esemplare della Scelta corredato da varianti autografe di Campanella (citato nel titolo dell’opera con lo pseudonimo Squilla) che la Biblioteca Oratoriana dei padri Gerolamini conservava allora intatto. Il testo critico della Scelta è infatti costituito da Giancotti sulla collazione dell’esemplare dei Gerolamini, tenendo come base per i raffronti l’edizione di Firpo del 1954, e indicando le discrepanze dalla princeps. Collocate nel volume einaudiano dopo la Scelta ed editate con lo stesso rigoroso metodo filologico e critico, le Poesie non comprese nella "Scelta" si arricchiscono rispetto al testo di Firpo con recenti ritrovamenti. Torna così alla luce – corredata da un commento filologico e storico che fa dialogare i componimenti poetici fra di loro e con le prose campanelliane, quindi con le fonti e i modelli, rilevando connessioni tematiche e formali – la poesia di Campanella oggi nota, summa del suo pensiero filosofico e politico, cimento conoscitivo ed espressivo, testimonianza autobiografica e universale.

Tra le più significative del Seicento, l’attività poetica campanelliana inizia in latino sotto l’influenza di Lucrezio (nel 1591 il poeta filosofo scrive infatti due poemi in esametri, la Philosophia Pythagorica carmine Lucretiano instaurata e il De philosophia Empedoclis, oggi perduti), continua in volgare e si conclude, dopo un lungo silenzio, con l’Ecloga in principis Galliarum Delphini admirandam nativitatem vaticinilis et divinis et humanis celeberrimam per la nascita del futuro Luigi XIV.

Il rapporto filosofia-poesia al centro di questa produzione – evidente sia nel titolo dell’opera principale, Scelta d’alcune poesie filosofiche, sia nella sua Dedica in cui Tobia Adami accenna al "parlare stretto talvolta e filosofico", agli "altissimi concetti" dei componimenti poetici, sia nell’Esposizione in prosa dei medesimi, in cui Campanella rinvia alla Città del Sole, alla Metafisica, al De Sensu Rerum – l’ha collocata al di fuori delle linee vincenti della tradizione poetica italiana e, dopo i giudizi di rozzezza e immediatezza, dopo il recupero estetico di "tratti" di questa scrittura, solo la critica più recente ha analizzato la complessità culturale del poeta filosofo, il disegno unitario della Scelta, il doppio registro poetico e prosastico di questo testo, i temi e i motivi delle Poesie non comprese nella "Scelta".

Si tratta di una poesia singolare che fonda la sua novità sulla dottrina telesiana della conservazione e, in polemica con la letteratura contemporanea, favolosa e menzognera, dominata dal Tasso, sul rispecchiamento della verità delle res, su una più stretta osservanza della fede cattolica, su una violenta vis profetica, traboccante di suggestioni bibliche e dantesche, su un intransigente moralismo, connotato da motivi controriformistici e, quindi, sulla ricerca di un linguaggio basato sulla "proprietà delle cose", sensuoso e plastico, incisivo ed efficace, intessuto di voci dialettali, straniere, nuove, su una metrica barbara. Questa idea di poesia espressa nella giovanile Poetica (1596), sequestrata in carcere, è sviluppata nella riscrittura in latino, compiuta in prigione, fra il 1612 e il 1613.

Nel nuovo progetto, che prosegue la polemica antiaristotelica, si profila, connessa alle tre primalità metafisiche – Sapienza, Amore, Potenza – l’immagine ideale del poeta filosofo, dotato di genio naturale, e si disegna un’idea di poesia come una "specie di retorica figurata, quasi magica, che porge esempi al fine di indurre al bene e dissuadere dal male piacevolmente coloro che non vogliono o non possono o non sanno apprendere il vero e il bene attraverso un discorso semplice". Alla poesia, come parte più perfetta della magia vocale, alla sua azione magica, sono ricondotti tutti gli elementi che la istituiscono, in primo luogo la retorica. L’invenzione meravigliosa e i traslati che fondano i versi di Marino e dei suoi seguaci, giudicati criticamente, sono introdotti a illuminare e non oscurare il fatto poetico, costruito secondo un principio di stile in virtù del quale i vocaboli sembrino cose piuttosto che parole e siano convenienti e appropriati, quindi "aspri per le cose aspre, dolci per le cose dolci, aperti per le cose aperte, il che nasce dalla tessitura delle consonanti e delle vocali".

Nell’ambito di questi progetti poetici fiorisce la poesia di Campanella, tecnicamente agguerrita, soprattutto nella sperimentazione di versi fatti "con la misura latina", oltre che del sonetto, della terzina, della canzone composta di madrigali, dell’ottava rima, del sirventese, del distico elegiaco latino. In polemica con i poeti contemporanei che cantano "finti eroi, infami ardor, bugie e sciocchezze, / non le virtù, gli arcani e le grandezze / di Dio come facea la prisca etade", Campanella pone al centro della sua scrittura poetica gli stessi temi di quella filosofica e politica: il vero, il bene, il bello e anche i propri patimenti, gli scacchi dei suoi ideali di riforma che lo hanno condotto in carcere. Con la certezza di un’investitura solenne delinea il suo compito di poeta filosofo ("Io nacqui a debellar tre mali estremi: / tirannide, sofismi, ipocrisia, / (...) / Dunque a diveller l’ignoranza io vegno"), esibendo, fin dal sonetto proemiale, la sua missione prometeica ("Io, che nacqui dal Senno e di Sofia, / sagace amante del ben, vero e bello / (...) / doglia, superbia e l’ignoranza vostra / stemprate al fuoco ch’io rubbai dal sole"), ed esaltando il suo destino profetico, la volontà di profetizzare "il principio e ’l fin degli enti", espressa nel sonetto Al Telesio cosentino con la consapevolezza, attestata dall’Esposizione di questi versi, di essersi ribellato alla tirannia aristotelica e di aver rinnovato la filosofia. Perciò lo spazio di questa poesia è occupato dalle tematiche inerenti a Dio Monotriade, alle tre primalità, al Cristo, al rapporto drammatico tra il Creatore e l’uomo, al mondo come statua e animale, libro e tempio di Dio che l’uomo deve leggere per "imparare a vivere in privato e ’n pubblico", diversamente dunque da Galileo, difeso nell’Apologia pro Galileo (1622).

Altri temi riconducono più direttamente al Barocco: il niente e la morte, la simulazione correlata sia al motivo del mondo come teatro, della maschera, sia a quello della follia, segni di una tragica vicenda privata, che si è spinta fino alla simulazione della pazzia per evitare la condanna a morte, e di una crisi universale, religiosa, morale e politica che può essere risolta con il rinnovamento spirituale e sociale. La relatività di ragione e follia, riferita, nel sonetto Di se stesso, alla missione profetica che il poeta si è assunto è, nella Scelta, la sigla estrema della relatività di ogni cosa che non deve essere giudicata secondo le apparenze (Non è re chi ha regno, ma chi sa reggere).

La critica delle strutture politiche esistenti, dei criteri su cui esse si fondano, è, in questo testo, strettamente legata alla volontà di riforma e di pacificazione di tutti gli uomini sotto l’autorità del Pontefice, all’ansia d’infinito propria dell’amore universale che connota tutta la Scelta, anche nei momenti umilianti e disperati della tortura, elaborata nei modi propri del Barocco dello sconvolgimento lessicale, dello sbandamento sintattico, dell’accumulo nel verso o nei versi di lunghi elenchi di parole, orientato però dalla ragione.

Contingenti, occasionali sono per lo più le Poesie non comprese nella "Scelta" che completano l’edizione critica di Giancotti. Compaiono in questa raccolta sonetti e madrigali amorosi, erotici, artificiosi, che si spingono, come nei versi giovanili Parve a me troppo, ma alla cortesia, alla rappresentazione di un ardito amplesso tra il poeta carcerato e una donna, coniugando reminiscenze bibliche e contemporanee. Accanto ai componimenti di complimento e di ringraziamento, galanti, emblematici, concettosi (Sopra un presente di pere mandate all’autore dalla sua donna, le quali erano tocche dalli denti di quella e anche Sopra un bagno mandatoli dalla sua donna, nel quale ella s’era lavata), si trovano poesie di esortazione e consolazione per i compagni di carcere che hanno resistito alle torture, versi di rampogna per quelli che hanno ceduto e tradito, sottratti alle convenzioni dei generi e dei codici dall’urgenza delle passioni, e anche composizioni politiche ispirate alla sua teorizzazione.

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Tommaso Campanella

1568, Stilo (RC)

Nato nel 1568 a Stilo, in Calabria, entrò nell’Ordine dei Domenicani. Tra il 1592 e il 1597 fu sottoposto a quattro processi per eresia. Nell’estate del 1599 ordì una sedizione che avrebbe dovuto liberare la Calabria dal dominio spagnolo. Arrestato, torturato, si finse pazzo scampando così alla pena di morte. In carcere, a Napoli, scrisse gran parte delle sue opere. Liberato nel 1626 dagli spagnoli, fu fatto nuovamente imprigionare, per tre anni, dal Nunzio apostolico. Dal 1634 fino alla morte, avvenuta nel 1639, visse a Parigi, godendo i favori di Luigi XIII e di Richelieu.

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