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Se la silloge "La chiamano strada" fosse prosa lo potremmo definire un "romanzo di formazione" tanto spazia sul mondo del protagonista nella sua evoluzione e nella sua visione del mondo. Già dai primi testi ci accompagnano versi tesi tra la canzone e la lirica: Ed i figli non cercati/ hanno un passo solitario/ si sentono non capiti/ nel tempo che ha cresciuto/ nel loro cuore boschi inaccessibili/ senza dargli coraggio/ di recidere un solo ramo. Partendo dal punto focale, il rapporto d'amore (Io ho te/ in una strada lunga una vita) la ricerca dell'orizzonte, uno scopo forse che consenta di arrivare e non rimanere in quel punto che è sì rassicurante ma rappresenta anche l'inutilità e la fatica di vivere. Uno sguardo a 360 gradi sulla nostra società, dai ragazzi persi il giovedì sera, ai clandestini e ai profughi sui barconi, dai madonnari a tutti gli attori e comprimari che ci accompagnano. "Il Natale dei pazzi" è uno dei brani più intensamente lirici, ricco di malinconia e pathos, sulla malattia mentale. Il linguaggio è ricco, a tratti traboccante, e porta con sé il bagaglio culturale delle ultime generazioni senza intenti dimostrativi, compaiono con naturalezza le voci ricorrenti del presente. Il finale è dedicato alle speranze, da "70 anni di pace", l'essenza della vita è il rapporto con gli altri (Ma tutto quello che rimane/ viaggia nelle menti/ come un fiume nelle stagioni/ ed è la speranza/ che ci sia un domani/ tra paura e coraggio/ con gli altri?) Forse Luca Perdetti si sente "uno che resta/ in un vestito troppo stretto" . "Canzone per non importa chi" suggella il lungo cammino, con il suo senso di inadeguatezza ad affrontare e risolvere i problemi del mondo, ma anche con "una promessa fatta al cielo" di non arrendersi. Una silloge complessa che sottolinea un'attitudine per la poesia a cui l'autore attingerà nel suo futuro artistico.
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