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Anno edizione: 2012
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Lo stile della Arendt non è facile, tortuoso e assiomatico, affronta una molteplicità di tematiche rilevanti e a volte in modo implicito. La condizione umana si articola in tre attività: il lavoro che ha come condizione il ritmo biologico della natura con cui il lavoro interagisce nel ricambio organico per riprodurre la specie grazie al consumo dei beni che ne deriva. L'operare ha come condizione il Mondo costituito dalle opere durevoli che assicurano lo spazio pubblico, il quale acquisisce senso grazie alla terza attività, cioè l'agire e la gesto nel significato strettamente politco e che ha come condizione la pluralità. Queste attività vengono articolate a seconda dell'epoca storica: nella polis greca preplatonica l'agire è nel ruolo della sua importanza, ma da Platone viene favorita l'attività conteplativa, nell'età cristiano-medievale la vita activa viene confinata nell'ambito domestico, e anzi si potrebbe dire che tutta la comunità medievale diventa domestica nell'insieme dei rapporti feudali.. Nel Rinascimento e nella prima parte dell'età moderna fino alla metà del XIX lo spazio pubblico esalta le opere, fondamentalemte con la scoperta di Galileo del cannochiale, la riforma protestante e le scoperte geografiche, fornendo rispettivamente un punto di vista al di fuori della terra, la nascita di una forza-lavoro e l'esaltazione dell'opera in termini meccanicisti, utilitaristi. L'opera diventa strumento per un altro fine che diventa struento e nella seconda parte dell''età moderna conta sempre di più il processo, e nella fattispecie il processo lavorativo e di consumo dove le forze cosmiche e naturali sono risvegliate grazie alla scienza per rendere sempre più processuale e sconvolgente il movimento lavorativo dando vita all'uomo massa, privo di una sua singolarità, incapace sostanzialmente di operare e di agire . Nella società di massa è sempre imminente il totalitarismo, per cui occorre essere vigili. Ottima l'introduzione di Dal Lago.
Un ponte, non un libro...
In quest'opera Hannah Arendt ritiene che a partire dall'età pre-moderna l'azione, intesa come praxis, come capacità degli uomini di mettere in moto qualcosa, di essere cioè degli "iniziatori" che si rivelano agli altri, attraverso i loro gesti e le loro parole, abbia subìto un depotenziamento. Diversamente dalla polis greca che era uno spazio di visibilità dove "andava in scena la pluralità dell'umano", mentre la sfera domestica era la dimensione della disuguaglianza in cui gravitavano tutti coloro che non erano liberi dalle necessità quotidiane, ovvero gli schiavi che lavoravano affinché quelli che, invece, lo erano potessero fare la loro apparizione nello spazio pubblico, dove, confrontandosi l'un l'altro,non solo esprimevano la loro unicità, ma potevano concretamente anche autogovernarsi, la nascita dello stato moderno ha trasformato l'azione in un comportamento standardizzato,in obbedienza. La politica è diventata sempre più autocratica, gestita, cioè, da élites che decidono per conto delle moltitudini spoliticizzate delle decisioni di vita e di morte. La società ha, in altre parole, assorbito quel "fardello della vita biologica" portato anticamente dagli schiavi, rendendo gli uomini schiavi del lavoro dal quale dipende la loro sopravvivenza e indifferenti verso la politica. Questo processo di spoliticizzazione che la studiosa definisce "perdita del mondo", raggiunge il suo maximum nelle odierne società di massa, dove non solo non esiste più alcuno spazio politico, ma le persone anche se comunicano non si dicono, in realtà più nulla, ma si limitano ad esprimere opinioni altrui che credono proprie, che sono, cioè, l'una il prolungamento dell'altra. La sfera pubblica non riesce più, come avveniva nella polis ateniese, "a riunire le persone impedendo che si cadano addosso", a preservarne, cioè, l'unicità nella molteplicità, perché l'uguaglianza a cui anela l'uomo post-moderno è un livellamento che ingloba tutto ciò che è differente e singolare. Un capolavoro!!!
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