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Dissacrante, ma sul filo della vera eleganza, arguto come un istrice che scuote le pagine a graffi intelligenti ma anche tranquillo come un saggio nel suo anfratto pensoso, libero di far deragliare la parola per ovvietà profondissime o di torcerla su aspetti anche personali, fra scarti di risate e di solletichi, di sottili acutezze e tic improvvisi. Un tuffo insomma nelle acque dei più impensati capricci linguistici e letterari, una tavolozza ironica che desta e scuote lo spirito. In fondo un autoritratto. C'è il Pontiggia smodato nel suo desiderio di possesso di libri, il Pontiggia perdente in Borsa (nei cui meccanismi tentava di infilarsi per poter far soldi e comprare libri o tamponare debiti a causa dei suddetti), il Pontiggia a cui le parole danno prurito (certe paginette sull'uso di alcuni aggettivi sono una delizia), il Pontiggia recensore o pseudo tale, ruoli mescolati in una cifra fra il faceto e il faceto di meno, ma soprattutto il Pontiggia attorno a se stesso, in divertiti angoli dei sui difetti fisici (come gli incontri con l'oculista, o certe descrizioni della sua vistosa mole) o sguardi sulla seriosità spesso patetica su certa società intellettuale. Ma il Pontiggia che parla di libri è una compagnia indicibile per i sensi; il suo amore per i cataloghi antiquari, autentici Maestri di scoperte pazzesche, il suo senso dell'Espansione inteso latamente come grandezza e apertura d'animo personali e insieme gigantesco ingrandirsi della propria biblioteca, e ancora le facezie a perdere contro la nebulosa affettata del culturame corrente, piccole oasi a ribaltare la norma in corso, tipo: "Vivere e non lasciar vivere, Il dolce far tutto, L'occhio del padrone fa dimagrire il cavallo, O Cesare o qualcos'altro, Sapere dove picchiare la testa". Un brulichio di ironie malandrine e di delicati passaggi da ricopiare,un saggio sulla sintassi e i suoi dolcissimi pericoli, un uomo che scende dentro se stesso e noi tutti con un fucile ad acqua. Per svegliarci con affetto.
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