Intervista a Jeffery Deaver
«Scrivo i miei libri come se dovessi comporre un’opera classica, come se fossero una sinfonia».
«Scrivo i miei libri come se dovessi comporre un’opera classica, come se fossero una sinfonia. Per Il gioco del mai ho passato otto mesi a studiare la trama e tutti i tasselli che lo compongono. Sono diventato un esperto di videogiochi perché sono centrali nella narrazione e ho sviluppato un personaggio dalla mente malata che è ossessionato da un videogame violento e vi si ispira per accanirsi sulle sue vittime. Il gioco del mai è un gioco pericoloso e bisogna dotarsi degli strumenti giusti per avere qualche speranza di successo». Il nuovo romanzo di Jeffery Deaver ha una trama molto articolata e ricca di colpi di scena. L’ambientazione è hi-tech, tra i videogiochi e la Silicon Valley, terra di grande disomogeneità sociale. Deaver ci regala un nuovo protagonista pronto a proporsi come contraltare a Lincoln Rhyme e afferma di essersi ispirato alle nuove forme smart di intrattenimento per la sua stesura. Un libro e un autore tutti da scoprire nell’intervista che siamo orgogliosi di presentarvi in esclusiva.
In questo libro introduce ai suoi lettori un nuovo eroe: Colter Shaw. Se fosse una persona reale, come lo presenterebbe ai suoi lettori?
Colter Shaw non è solo protagonista de Il gioco del mai: sarà anche il protagonista di un’intera serie. L’ho creato per dare un contraltare al più famoso Lincoln Rhyme, che è un esperto di scienze forensi. Shaw si sposta continuamente, viaggia per gli Stati Uniti per ritrovare persone scomparse e catturare i colpevoli. È un personaggio divertente, sì: ma non è un tipo con cui scherzare troppo, perché ha sicuramente tutte le capacità per farvela pagare. Se però volete sedervi a prendere un caffè assieme a lui, nessun problema. Molte donne mi hanno avvicinato nel corso delle presentazioni del libro che ho tenuto in America, per domandarmi «Jeff, ma Colter Shaw è ispirato a una persona reale? Nel caso, ti spiacerebbe darmi il suo numero di telefono?»
Colter Shaw non è solo protagonista de Il gioco del mai: sarà anche il protagonista di un’intera serie.
Per quale motivo ha deciso di ambientare questo romanzo nella Silicon Valley?
Quando ho costruito la trama de Il gioco del mai – come sempre faccio quando scrivo un nuovo romanzo – la prima cosa a cui ho pensato sono stati i miei lettori. Cerco sempre storie nelle quali tutti possano immedesimarsi, e allora ho pensato alla Silicon Valley: un luogo mitico, conosciuto da tutti. È un ambiente caratterizzato da forti contrasti: ci sono incredibili miliardari, depositari di fortune immense, che vivono accanto a persone che ce la fanno a malapena a pagare l’affitto e vivono in condizioni disagiate. Il romanzo che avevo in mente non voleva essere un affresco sociale, ma ero certo che un elemento di critica e riflessione avrebbe reso la storia più interessante.
Ha avuto modo di giocare ai videogiochi durante i suoi studi per realizzare il libro? Che idea si è fatto, in proposito?
Non sono mai stato interessato ai videogames fino a che, qualche anno fa, la mia nipotina di otto anni mi disse «Zio Jeff, ti va di giocare con me ai videogiochi?» e io ho risposto «Certo! Why not?» e la prima cosa che lei fece fu uccidermi, senza nemmeno spiegarmi le regole del gioco. Ci rimasi un po’ male ma l’idea che sta alla base del libro mi deriva proprio da quell’esperienza. Ho scoperto parecchie cose nel periodo in cui mi sono documentato per scrivere il libro: la prima è che non c’è correlazione tra quel tipo di giochi e i comportamenti violenti. Anzi: in alcuni casi, i giochi possono avere degli effetti benefici su chi ne fa uso. Se uno – ad esempio – ha problemi di apprendimento, di memoria o di coordinazione, il videogioco può sortire effetti positivi. In altri casi, invece, i videogames portano solo via un sacco di tempo che potrebbe essere utilizzato meglio.
Lei ha studiato legge e ha un background da avvocato. Se avesse intrapreso una carriera di penalista, e le fosse toccato di dover difendere uno dei cattivi che tratteggia nei suoi libri, sarebbe riuscito a prenderne le parti senza problemi?
Molti anni fa sono stato un avvocato ma non sono mai stato un penalista, però mi sono sempre occupato di diritto commerciale e i miei clienti erano rappresentanti delle banche… vi lascio immaginare di quale calibro fossero gli imputati con cui avevo a che fare. I miei cattivi, invece, sono molto astuti – probabilmente molto più di me – ma se dovessi difendere il colpevole de Il gioco del mai, farei leva sulle sue capacità per riuscire a vincere in tribunale. Mi darebbe senz’altro le dritte giuste per convincere la giuria della sua innocenza!
Ho scoperto parecchie cose nel periodo in cui mi sono documentato per scrivere il libro: la prima è che non c’è correlazione tra i videogiochi e i comportamenti violenti.
Lei è abituato a suscitare emozioni forti nei lettori che la seguono. Ma cosa emoziona davvero Jeffery Deaver, più di ogni altra cosa?
Il mio compito principale è rendere voi lettori felici, ma io voglio che dobbiate guadagnarvela, questa felicità! Vi devono sudare i palmi, vi deve battere il cuore. È Importante però che alla fine della lettura un sorriso affiori sulle vostre labbra. Scrivo da quarant’anni e non c’è nulla di più esaltante dei commenti che ricevo dai miei lettori nei quali si dicono cose del tipo «Sai Jeff, è da un po’ di tempo che ho problemi sul lavoro e in famiglia, ma quando prendo un tuo libro e mi metto a leggere, per un paio di giorni mi dimentico di tutti guai che la vita mi mette davanti». È una gratificazione indescrivibile sapere che un mio libro possa generare un effetto del genere.
Cosa pensa delle nuove tecnologie e dei nuovi strumenti di intrattenimento?
Sono incredibili, e credo che anche la letteratura debba adeguarsi. Ho costruito questo romanzo seguendo le linee guida di oggi: linguaggio semplice, ritmo serrato, frasi e capitoli brevi. Come nelle fiction ben fatte, ne è nato un romanzo più corto del solito, dal passo molto veloce, pieno di dialoghi e di azione senza che questo vada a scapito della storia. Sono certo che quando lo leggerete, vi piacerà.
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Jeffery Deaver Ex giornalista ed ex avvocato, nel 1990 ha abbandonato la carriera legale per dedicarsi alla scrittura a tempo pieno. Scrittore di romanzi thriller, ha vinto per tre volte l'Ellery Queen Readers Award for Best Short Story of the Year; ha vinto, inoltre, il British Thumping Good Read Award ed è stato più volte finalista all'Edgar Award. Il suo primo romanzo, un horror intitolato Voodoo è del 1988. I tre romanzi successivi, ambientati a New York, affrontano la struttura delle detective stories. Con i protagonisti dei suoi romanzi, Deaver crea dei perfetti thriller contemporanei, in cui la narrazione si svolge secondo il ritmo e la tensione tipici del linguaggio cinematografico. Ha conosciuto il successo internazionale con Il collezionista di ossa, la prima indagine di Lincoln Rhyme e Amelia Sachs, da cui è stato tratto l'omonimo film. Tra gli altri titoli (editi dal gruppo RCS) ricordiamo: Lo scheletro che balla, La sedia vuota, La scimmia di pietra, L’uomo scomparso, La dodicesima carta, La luna fredda, La finestra rotta, Il filo che brucia, Nero a Manhattan, I corpi lasciati indietro, Requiem per una pornostar, La figlia sbagliata, Carta bianca, La consulente, La bambola che dorme, Fiume di sangue, L'ultimo copione di John Pelham. Più recentemente sono stati pubblicati: La stanza della morte, L'ombra del collezionista, Sarò la tua ombra, L'uomo del sole, October list, Solitude Creek, Hard News. Nel 2018, sempre per Rizzoli, ha pubblicato Il taglio di Dio, la nuova indagine di Lincoln Rhyme. Del 2019 è Promesse (Solferino) e Il gioco del mai (Rizzoli).