Levante: «Nella musica ho trovato una chiave di salvezza»
“Questa è l’ultima volta che ti dimentico” promette Levante col titolo del suo secondo romanzo. Sarà vero? Curiosi di tutto quel che cuoce e lievita nella Premiata Forneria Lagona (il cognome all’anagrafe di Claudia, come ogni aficionado ben sa) abbiamo voluto indagare per capire chi (o cosa) l’appassionata cantautrice non riesca proprio a togliersi dalla testa.
Levante è un sole, che non sorge necessariamente ad oriente ma che ogni giorno attraversa l’Italia.
Nella sua traiettoria la giovane cantautrice sembra aver già inanellato le esperienze che altri impiegherebbero vite intere a mettere assieme: dall’irruzione folgorante sulle scene della musica indie al palco mainstream (forse sofferto, e in fretta accantonato) di X-Factor, tutto ciò che questa bella e brava ragazza di Sicilia illumina col suo talento e il suo sorriso è destinato a far parlare e ad essere ricordato.
Ma Levante è anche un accento, un ritmo, capace di sedurre chi ascolta e intrigare chi legge.
Così, al suo primo “Se ti vedo non esisti”, oggi Claudia fa seguire un secondo romanzo, autobiografico fin dal titolo nella storia che racconta e capace di rievocare sulla pagina – frase dopo frase – la musica di vite intense e tutte da svelare. Proprio come quella di Claudia, che è venuta a trovarci per raccontare di sé, della propria famiglia, di specchi e di baffetti, di ginocchia sbucciate e di dolori più profondi.
Raccontaci del tuo ultimo libro, Claudia: che storia è, quella che leggeremo?
È un romanzo di formazione che racconta dell’infanzia e dell’adolescenza di Anna, una bambina con dei grandissimi sogni, molto profonda e molto sensibile, che cresce con una situazione familiare e scolastica un po’ complicata in un paesino dell’entroterra siciliano e che nella danza cerca un rifugio, un equilibrio.
Rispetto al mio primo romanzo, "Se non ti vedo non esisti". è più ricco, anche se è più breve.
Tocco tanti temi: dalla solitudine di Anna al suo dolore, dall’omosessualità alla mafia, dall’amore alla forza che gli altri possono esercitare su di noi.
Quando è scattata la molla che ti ha fatto mettere questa storia su carta?
"Questa è l'ultima volta che ti dimentico" è il titolo che avevo dato a un primissimo racconto scritto a 22 anni, ma mai terminato. Il titolo però mi era rimasto nel cuore e ogni tanto mi dicevo che ci avrei scritto una canzone o avrei finito il racconto. Intorno a marzo del 2018, mentre ero in tour, ho voluto fare una capriola nel passato, ritornando alla prima elementare, a quando per la prima volta mi sono guardata allo specchio e ho desiderato di essere migliore. Qualcuno mi aveva fatto notare che forse non andavo bene. Un’esperienza che ritorna nella prima scena del primo capitolo: quella piccola me che, davanti a un’osservazione ingenua ma pungente di un bambino sul mio “baffetto”, rimase molto turbata. Al punto che ne parlo ancora adesso… Per il resto è un romanzo che non parla di me. Nella scrittura, ovviamente, attingo al mio bagaglio emotivo, però ci sono degli incroci che non mi appartengono, che non ho mai vissuto, ma che è stato molto bello poter inventare.
Ho voluto fare una capriola nel passato, ritornando alla prima elementare, a quando per la prima volta mi sono guardata allo specchio e ho desiderato di essere migliore.
Il giudizio degli altri è un tema centrale nel romanzo. Come lo vivi, da persona famosa?
Credo che inanzitutto nella vita sia necessario far pace con sé stessi, decidere chi essere e amarsi per quello che si è. Bisogna poi sempre ambire a migliorare, ma mai dare alle persone la possibilità e il potere di giudicarci e modellarci. Certo, è molto difficile rimanere saldi sulle proprie convinzioni: io a volte non ci riesco, mi sento come una foglia nel vento. Molto spesso mi metto in dubbio, ma sono molto fiera di quello che sono oggi. È stato bello fare pace con me stessa negli anni.
Il rapporto tra Anna e la danza nel romanzo è simile al tuo rapporto con la musica nella realtà?
C’è una forte affinità tra le nostre passioni. Anna vive una situazione diversa dalla mia ma – esattamente come lei con la danza – io ho trovato nella musica una chiave di salvezza. Il motivo principale per cui ho imparato a fare musica è stato proprio quello di sfogare i dolori, guarire dalle ferite e dalle cicatrici che porterò con me nella tomba. Dopo la perdita di mio padre, la musica era diventata per me una stanza in cui riuscivo a ritrovare la pace, a staccarmi dalle situazioni familiari che mi facevano male. Lo stesso vale per Anna.
Lo specchio è un oggetto che torna spesso tra le pagine di "Questa è l’ultima volta che ti dimentico". Perché? Che significato ha per te?
Lo specchio è un elemento ricorrente nella mia estetica e nei mei racconti. È un oggetto che da molti è considerato superficiale, perché ci si vede solo ciò che c’è all’esterno, non quello che si è realmente. Per quanto mi riguarda, invece, quello che si vede è anche quello che si è, perché è vero che un libro non si giudica dalla copertina, ma qualcosa la copertina ci vorrà pur dire… o no? E poi, lo specchio ha avuto un ruolo fondamentale nella mia vita: davanti allo specchio ho preso le decisioni più importanti, ho fatto grandi riflessioni, ho ricevuto un milione di premi, ho cantato un milione di canzoni, ho detto tutte le parole che non sono riuscita a dire alle persone che dovevo affrontare.
Sono molto fiera di quello che sono oggi. È stato bello fare pace con me stessa.
Dalla Sicilia al Piemonte hai fatto un sacco di strada... Cosa lega, per te, Palagonia e Torino? Cosa le rende diverse?
Sono due realtà completamente differenti. Parliamo di un paesino dell’entroterra siciliano e di una grande città, la prima capitale d’Italia. Palagonia è un piccolo centro, ma lì ho vissuto un momento di crescita fondamentale – lo stesso che faccio vivere ad Anna, dagli 0 ai 14 anni – in cui ciò che mi serviva era quello che avevo nel mio paese: la possibilità di giocare per strada, le amicizie, sbucciarsi le ginocchia andando in giro per i vari rioni… Ma se dai 14 anni in poi fossi vissuta sempre in quella realtà, mi sarebbero mancate moltissime cose: non c’era nemmeno una biblioteca. Torino, invece, per gli anni in cui l’ho vissuta, mi ha dato ciò di cui avevo bisogno, a partire dalla possibilità di potermi esibire o partecipare a manifestazioni musicali. E mi ha anche regalato una compostezza, un modo di rispettare lo spazio vitale altrui che prima non avevo.
Ci consigli qualche lettura?
Il libro che ho preferito negli ultimi anni, anche perché ho scoperto tardi la sua autrice, è "L’arte della gioia" di Goliarda Sapienza, un romanzo che, tra l’altro, parla della mia Sicilia, quindi mi sono sentita subito super proud, molto orgogliosa.
Poi negli anni ne ho letti tanti. In questo momento sto leggendo "Riparare i viventi" di Maylis De Kerangal, che consiglio per il tipo di scrittura, molto musicale.
Levante è il nome d'arte di Claudia Lagona, cantautrice di origini siciliane trapiantata a Torino. Dall'esplosivo esordio di Alfonso (2013) che ha scalato le classifiche non si è più fermata: i suoi primi due album Manuale Distruzione (2014) e Abbi cura di te (2015), le hanno fatto conquistare i cuori di un pubblico crescente e i più importanti palchi d'Italia. Nel 2017 pubblica con Rizzoli Se non ti vedo non esisti, il suo primo romanzo.