Intervista a Enrico Deaglio
La bomba. Cinquant’anni di piazza Fontana è un libro di storia scritto con piglio da cronista, capace di ricomporre in un mosaico di grande respiro le voci dei protagonisti di una vicenda incancellabile.
«La bomba del 12 dicembre 1969 ha cambiato l’Italia; o meglio: l’ha picchiata come un pezzo di ferro rovente su un’incudine, umiliandola. Per cinquant’anni, tutta la vasta cospirazione di potere che l’ha prodotta ha lavorato per lei, perché restasse impunita e si moltiplicasse. È una storia talmente enorme che non si sa da che parte cominciare».
La bomba. Cinquant’anni di piazza Fontana è un libro di storia scritto con piglio da cronista, capace di ricomporre in un mosaico di grande respiro le voci dei protagonisti di una vicenda incancellabile. Enrico Deaglio intreccia testimonianze e documenti, ordinando in una serrata timeline il succedersi degli eventi noti e la ricostruzione di quel che accadde dietro le quinte: un lavoro enorme, nel nome della verità storica e del risarcimento – per quanto tardivo – dovuto alle vittime e alle loro famiglie. La bomba è un libro essenziale, il tassello importantissimo di una bibliografia ampia ma necessariamente in divenire. «Ho scritto questo libro per capire il motivo per cui dopo 50 anni non è stato possibile raggiungere una verità giudiziaria».
Un libro per riappropriarci del nostro passato e per non permettere alla bomba di continuare a scoppiare.
Buongiorno, Deaglio. Torniamo in Piazza Fontana, a cinquant’anni dalla strage. Perché – a suo avviso - l’esplosione di Piazza Fontana ha prodotto un’eco più forte di tutte le altre?
Cominciamo col dire che una bomba in un luogo pubblico, in una prestigiosa banca nel centro di una metropoli… una cosa simile non era mai accaduta in Europa dalla fine della guerra, venticinque anni prima. Nessuno pensava che potesse succedere. È importante sottolinearlo perché oggi, purtroppo, siamo abituati al terrorismo. All'epoca non era così: era impensabile che qualcuno potesse essere così malvagio da mettere una bomba in un luogo pubblico.
12 dicembre 1969, ore 17.11… ma quella piazzata sotto il tavolo della Banca dell’agricoltura non fu l’unica bomba a brillare, quel giorno…
Vero. In totale, quel giorno le bombe furono cinque. Tre a Roma, dove fecero danni e feriti, e due a Milano. Quella di piazza Fontana causò 17 morti e più di 80 feriti mentre la seconda venne rinvenuta, inesplosa, nella sede della Banca Commerciale di Milano, a 400 metri da piazza Fontana. Qui avviene il primo grande mistero delle indagini: la bomba inesplosa viene fatta brillare, distruggendo tutte prove che contiene. È l'inizio del grande depistaggio…
Nel 1969 era impensabile che qualcuno potesse essere così malvagio da mettere una bomba in un luogo pubblico.
… e contemporaneamente l’inizio di una vicenda giudiziaria infinita. Cosa successe, allora?
Non ci furono indagini.
La polizia disse di avere la sicurezza che erano stati gli anarchici e venne subito individuato un sospettato: il ballerino Pietro Valpreda. Secondo l’accusa, Valpreda era giunto da Roma appositamente per collocare la bomba. In piazza Fontana avrebbe preso un taxi per compiere 112 metri con una borsa ingombrante fra le braccia. Si sarebbe fatto lasciare davanti alla banca chiedendo al tassista, Cornelio Rolandi – il testimone chiave dell’accusa – di attenderlo. Terminato il posizionamento dell’ordigno sarebbe uscito e, dopo aver pagato il tassista, sarebbe fuggito a piedi. Con questa accusa Valpreda venne arrestato a Milano e portato con urgenza a Roma, per essere interrogato.
Ci vollero tre anni prima che si riconoscesse che tutta la storia era campata in aria.
Un'altra tragedia in questa storia è la vicenda del ferroviere Pino Pinelli. Pinelli era un anarchico, persona completamente pacifica e padre di famiglia. Venne trattenuto per tre giorni dalla polizia per essere interrogato. Finché, alla mezzanotte del 16 dicembre, venne comunicato che si era suicidato buttandosi dal quarto piano della questura perché “messo alle strette”. Nella ricostruzione deviata che venne data in pasto alla stampa, il suicidio dimostrava la sua colpevolezza.
Un ballerino che aveva preso un taxi per cento metri e un ferroviere che si era suicidato perché i poliziotti erano arrivati a lui. Così comincia la storia delle indagini di piazza Fontana.
Ma oggi non possiamo più far finta di non sapere. Chi fu, nella realtà, a posizionare la bomba? e perché lo fece?
Oggi abbiamo la certezza che la bomba venne preparata e collocata da un gruppo che si chiamava Ordine Nuovo. Un movimento di estrema destra molto forte in Veneto che godeva di appoggi all'interno del ministero degli interni e tra i servizi segreti militari.
La bomba fu collocata da loro e la polizia di Milano ne era al corrente.
Il piano era semplice: accusare gli anarchici per creare un clima di tensione che giustificasse un colpo di stato. Ma la mattina di lunedì, quando si svolsero i funerali in Piazza Duomo, le cose andarono diversamente. I duecentomila milanesi scesi in piazza si presentarono senza bandiere e senza slogan. La loro presenza silenziosa impedì a chiunque di provocare incidenti. Quel giorno cambiò la storia d'Italia.
Oggi abbiamo la certezza che la bomba venne preparata e collocata da un gruppo che si chiamava Ordine Nuovo.
Possiamo dunque dire di essere giunti a una qualche forma di verità giudiziaria, dopo 50 anni di indagini?
La storia giudiziaria di Piazza Fontana è agghiacciante.
La capacità di sviare il corso della giustizia, di intimidire testimoni e magistrati è stata incredibile. Le prove sono state distrutte e confuse per decenni. Coloro che sono stati riconosciuti colpevoli dell’attentato, Franco Freda e Giovanni Ventura, principali esponenti di Ordine Nuovo nel Veneto, assieme a un terzo, Carlo Maria Maggi, erano stati assolti in precedenza e quindi la cosa è rimasta senza conseguenze.
A cinquant'anni di distanza, insomma, non esiste una verità giudiziaria.
Un auspicio per il cinquantesimo anniversario della strage?
Sarebbe bello se il 12 dicembre ci fosse una grande manifestazione nella piazza che cambiò la storia d'Italia. Sarebbe bello se ci fosse il sole e sarebbe bello se ci fosse la stessa folla che 50 anni fa ricordò in silenzio le vittime innocenti dell’attentato. Sarebbe bello che venisse anche il Presidente Mattarella e che fosse esposto il quadro di Enrico Baj dedicato a Piazza Fontana.
Sarebbe bello ricordare a tutti la cosa più importante: la bomba, alla fine, non ha vinto.
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Paolo Morando
Enrico Deaglio, laureatosi in Medicina a Torino nel 1971, comincia poi la carriera da giornalista della carta stampata e della televisione negli anni settanta, presso il quotidiano «Lotta Continua», di cui è stato direttore dal 1977 al 1982. Successivamente lavora in numerose testate tra cui «La Stampa», «Il Manifesto», «Epoca», «Panorama», «L'Unità». Tra il 1985 e il 1986 è direttore del quotidiano «Reporter» e collaboratore del quotidiano «La Stampa» di Torino. Alla fine degli anni Ottanta comincia a lavorare come giornalista televisivo per Mixer: segue in particolare le vicende della mafia in Sicilia e viene inviato per programmi di inchiesta in vari paesi. Negli anni novanta conduce vari programmi d'inchiesta giornalistica di attualità su Raitre, tra cui: Milano, Italia (gennaio-giugno '94), Ragazzi del '99 (1999), Così va il mondo, Vento del Nord e L'Elmo di Scipio. Dal 1997 al 2008 dirige il settimanale «Diario». Oltre ad alcune opere di narrativa, ha pubblicato vari libri-inchiesta tra cui "La banalità del bene - Storia di Giorgio Perlasca" (Feltrinelli), "Patria 1978-2008" (il Saggiatore). Tra gli ultimi suoi lavori si ricordano: "Il vile agguato" (Feltrinelli), "Storia vera e terribile tra Sicilia e America" (Sellerio), "La zia Irene e l'anarchico Tresca" (Sellerio), "La ferita del secolo scorso" (Feltrinelli), "La bomba. Cinquant'anni di Piazza Fontana" (Feltrinelli).